Regia di Robert Budina vedi scheda film
Una storia albanese di sangue. Di amore, di odio, di squallore criminale. I sentimenti si confondono con la rabbia, quando ci si sente perduti. Così è per Vini, il ragazzo di Tirana che una notte varca clandestinamente la frontiera greca, al fine di raggiungere il fratello Saimir, già emigrato, che si è trasferito a Salonicco e sta per sposare Electra, una donna del luogo. Vini non sa bene cosa cerca. Certo non ha voglia di lavorare, e ne dà prova in maniera plateale, facendosi licenziare per ben due volte. Forse ha bisogno di una famiglia, di un affetto, di un qualche riconoscimento che gli venga dato in maniera gratuita e disinteressata, semplicemente in virtù di quello che lui è. Vorrebbe vivere della sua arte, ma probabilmente nessuno comprerebbe i quadri che dipinge. Il fatto è che gli piacciono le cose autentiche e sincere, che si offrono spontaneamente, senza passare attraverso il mercanteggiamento basato sul denaro o sullo scambio di favori. È uno svogliato sognatore, un idealista disarmato, che insegue disperatamente la libertà – estrema, e magari eccessiva – in un mondo miope, il quale impone limiti opprimenti e si regge sulla connivenza, il compromesso, il regolamento di conti, la vendetta. Ne è un esempio lo stesso Saimir, che ha rinnegato la sua fede, per convertirsi alla religione della futura moglie: ha smesso di essere musulmano, e si è fatto battezzare, assumendo il nome cristiano di Thanassis. Agli occhi di Vini, ha compiuto un atto di compravendita, non dissimile da quello con cui il suo connazionale Keno si è appropriato di Majlinda, la ex prostituta con cui è convolato a nozze, e che continua a sfruttare ed umiliare nel più miserabile dei modi. Il principio del do ut des assicura una illusoria forma di pace e di equilibrio, tipica degli ambienti in cui tutto sembra tranquillo per il semplice motivo che le regole sono chiare. Vini, però, non ci sta, ed esercita la sua ribellione dapprima con un individualistico rifiuto, e poi con una concreta sfida alla vigente logica del terrore ed ai poteri consolidati. Il sistema a cui intende opporsi è basato su aggregazioni tribali, con caratteristiche mafiose, nelle quali il concetto di appartenenza è quello tipico del branco, del gruppo che si mantiene chiuso e unito intorno al proprio capo per mantenere intatta la propria forza. In tale contesto, è particolarmente marcato il senso del tradimento, che si applica a tutte le situazioni in cui i legami minacciano di allargarsi o di ricombinarsi, sconvolgendo gli assetti della comunità di riferimento: i parenti di Vini e Saimir, gli affiliati alla banda di Keno. I confini che separano i complici dai rivali coincidono spesso con quelli determinati dalle diverse culture; le differenze, per definizione, dividono, e superarle richiede uno sforzo, che deve essere avvertito, dalla parte più debole, come una concessione straordinaria, non definitiva, e mai incondizionata. Nikos, il padre di Electra, è colui che ha accettato l’albanese Saimir, come genero e come dipendente. Electra, a sua volta, mostra di essere disposta ad accogliere lui, come compagno della sua vita, a patto che il rapporto non debba estendersi alla sua numerosa famiglia d’origine. Il lungometraggio d’esordio di Robert Budina ritrae una società balcanica che, anche fuori dai territori delle recenti guerre fratricide, stenta ad aprirsi alla modernità intesa come volontà di affrontare i conflitti guardando avanti, anziché ripiegando sulle posizioni di partenza. Questo atteggiamento, che il protagonista tenta invano di contrastare, è quello che più di ogni altro alimenta i pregiudizi ed accentua le incomprensioni. A dimostrarcelo è, con i suoi acuti di crudezza ed ottusità, una storia dalle tinte fosche, rozza anche nelle rare sfumature del bene. Una storia dei giorni nostri, avvolta nel manto sinistro delle pulsioni che inducono a soddisfare momentaneamente gli istinti, mentre, seminano, per sempre, un caos dai contorni fatali. Il finale vorrebbe, ciò malgrado, accendere una nota di speranza: un’appendice che, a fronte delle premesse, può sembrare un’effimera stonatura di buonismo. Mentre forse, invece, è solo la dolce e semplice espressione del monito, rivolto da pochi combattenti morti, contro la pericolosa cecità di tanti vivi.
Agon ha concorso, come rappresentante dell’Albania, al premio Oscar 2014 per il miglior film straniero.
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