Regia di Paul Schrader vedi scheda film
Christian (James Deen) è un produttore cinematografico molto ricco e potente, paranoico e sessualmente perverso. Tara (Lindsay Lohan) è la sua bellissima fidanzata, un ex modella che ha lasciato le sue ambizioni di diventare attrice "accontentandosi" di vivere nel lusso insieme ad un uomo che non gli fa mancare davvero niente. Gina (Amanda Brooks) è la più stretta collaboratrice di Christian mentre Ryan (Nolan Gerard Funk), il suo ragazzo, è stato imposto dalla produzione per girare il suo primo film da attore protagonista. Ad una cena di lavoro tra i quattro, Christian ha come l'impressione che Tara e Ryan già si conoscessero e ricava questa sensazione dall'imbarazzo mostrato dalla donna quando lui racconta che a loro piace fare sesso di gruppo e che talvolta contattano dei ragazzi per farli assistere mentre loro fanno sesso. Da questi sospetti seguiranno effetti poco lieti per tutti.
"The Canyons" di Paul Schrader è un thriller sessuale che, dietro una trama che ci conduce dentro gli intrecci esistenziali dei protagonisti, sottintende una riflessione critica sulla decadenza della cosiddetta "classicità hollywoodiana", un mondo fatto di storie ben strutturate stilisticamente, con una loro coerenza formale e con una linerità narrativa che segue precise direttive morali. Un mondo entrato in crisi in un tempo permeato dall'assoluta indifferenziazione dei valori in campo, dove al cinema le storie che si raccontano non bastano più per quanto sanno generare un'identificazione (tutto sommato innoqua) con i divi o produrre sogni ad occhi aperti, ma per come sanno attaccare il morbo dell'autocelebrità attraverso l'evanescenza cerebrale e le spinte al vouyerismo spinto. Un mondo dove l'esclusività di un arte gestita da consapevoli gestori del mezzo è messa in crisi dalla riproduzione in serie del popolo "digitalizzato" degli smartphone e di youtube.
"I canyons. I burroni profondi, le voragini di un mondo - quello del cinema - allo sfacelo. E le voragini interiori , quei buchi neri, quei solchi incolmabili, propri di esistenze che gravitano intorno ad un sogno - quello hollywoodiano - abortito. Finito bruscamente o non cominciato". Questo scrive molto bene "amandagriss", che nella sua bella recensione mette subito in chiaro la relazione esistente tra il titolo del film e il senso profondo che lo permea, tra una crisi di sistema riguardante il cinema di matrice hollywoodiana con quanti vi ci ruotono intorno come dei parassiti insensibili. Tra un immaginario cinematografico riconosciuto e riconoscibile nei suoi essenziali tratti caratteristici (proprio come i Canyons) e lo svilimento della sua natura seminale.
I personaggi di questo film sono tutte persone affatto pacificate con loro stesse, dei personaggi complessi perchè irrisolti ed irrisolti perchè lambiscono i loro desideri senza penetrarli del tutto, corrosi da un'idea di mondo che è quella prodotta dall'immediatezza della rete globale, un'idea che da la sensazione di essere padroni di tutto e di poter controllare tutti. Non esiste più una vita privata perchè ogni cosa è posta alla libera fruizione di chiccessia attraverso una semplice cliccata, ognuno si sente artefice del proprio destino quando invece la misura della propria vulnerabilità emotiva è data proprio dall'effimera sensazione di avere tutto il mondo a portata di "clic". Paul Schrader imbastisce un'atmosfera da soap opera, sia per la veste estetica adottata che aderisce perfettamente al "topos losangeliano", sia per i dialoghi, che sono penetranti ma mai spiazzanti, carichi di quella tensione che preannuncia fatti sorprendenti ma mai totalmente imprevedibili. Ma, soprattutto, sono tutti belli e vogliosi, ci sono gli intrighi sentimentali che congiungono passato e presente intrecciando tra di loro le vite di ognuno e non mancano le passioni reali sacrificate sotto l'altare del successo. Poi c'è Tara (la brava Lindsay Lohan), la bella e dannata che calamita su di se le gelose attenzioni di quanti vorrebbero esercitare sulla sua persona un controllo totale, una schiava del lusso che sa dominare il suo "padrone" nel gioco perverso delle coppie (come dimostra in particolare una sequenza molto forte). Insomma, ci sono tutti gli ingredienti tipici di un melodramma a sfondo sessuale dove l'insana (e invalsa) abitudine dei protagonisti a lasciarsi dominare dall'istintività (irrazionale) dei propri corpi "vogliosi" rappresenta l'elemento che fa degenerare l'aridità dei sentimenti in violenza sadica ed esibita.
"The Canyons" (dalla sceneggiatura di Bret Easton Ellis) è un buon film, fosse solo per la storia intrigante che racconta, ma è utile più per come ce la mostra che per quello che ci fa effettivamente vedere. Questo è uno di quei casi in cui l'attenzione è condotta ai confini della materia trattata, dove le indicazioni che riceviamo sui contenuti ci forniscono notizie adeguate sul contenitore che li comprende, dove lasciarsi catturare dalla nuova estetica con cui si è indotti a guardare il mondo può portare a cogliere quelle mutazioni antropologiche che investoni proprio tutti. Paul Schrader ci mostra spesso delle sale cinematografiche abbandonate, sottintendendo con ciò che al vuoto di quelle sale si lega un vuoto di contenuti, che a quelle rovine che certificano la fine di uno spazio virtuoso seguiranno le rovine di un'umanità viziata da una perenne insoddisfazione. Le strade assolate di Los Angeles non traghettono più sogni nati per durare a lungo.
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