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The Canyons

Regia di Paul Schrader vedi scheda film

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La recensione su The Canyons

di lorebalda
7 stelle

 

Contro Hollywood


«Perché il film si apre con una serie di cinema chiusi? Un’idea mia. Voglio che il pubblico capisca fin da subito che questo film non è stato concepito per la sala, è un film sul post-cinema, sulla morte della sala cinematografica, nato per essere poi visto su numerose piattaforme video... Per questo ho deciso di martellare lo spettatore con queste immagini» (Paul Schrader)

Fuori concorso a Venezia 70, The Canyons di Paul Schrader [sceneggiatura di Bret Easton Ellis] è uno di quei film che fanno saltare i formati: rimettono in discussione l’industria cinematografica mainstream, riflettono sullo stato delle cose. Per questo, e non solo per la libertà creativa "inaccettabile" e sperimentale, lo si può avvicinare a Twixt di Coppola, o a Passion di De Palma, lavori geniali fuori sistema (naturalmente non distribuiti in Italia), impossibili da collocare anche produttivamente. Tant’è che prima di passare a Venezia, e prendersi i fischi e le risate di una platea anestetizzata, The Canyons ha avuto anche una distribuzione limitata negli Usa, su internet e in tv, on demand.
Si dirà, il fenomeno del film concepito per altre piattaforme non è certo una novità (c’è chi ancora si chiede che fine abbiano fatto i Tulse Luper di Greenaway): ma non ha mai visto protagonisti i vecchi maestri. Oggi è Schrader, ieri Larry Clark (Marfa Girl vince a Roma, ma non uscirà al cinema, lo si può vedere solo su web), domani chissà. È un attacco frontale a un’industria autoritaria, una ribellione contro un cinema appiattito, scontato.

 

 

 


«Un film grottesco? Comprendo la reazione degli spettatori, ma quello che voglio specificare è che non c’era nessuna intenzione di fare un film grottesco. Ho scritto i dialoghi per dei personaggi artificiali, in un mondo costantemente di finzione, uomi e donne che indossano amschere e che dialogano come se fossere in una soap opera» (Bret Easton Ellis)

Come Twixt e Passion, anche The Canyons forza il linguaggio e i codici del cinema. Schrader gira a Los Angeles, lavora sugli stereotipi, sull’inespressività degli attori, sulla forma patinata: The Canyons è un film di superfici sintetiche, dunque un film sul cinema, sulla finzione insopportabile dei gesti, sui tic e le posture del cinema hollywoodiano (la scelta del pornodivo James Deen, che si chiama così proprio per la sua somiglianza con l’attore James Dean, è in questo senso geniale). Per questo The Canyons non può non essere un film [sul] ridicolo... 
Quindi ha ragione chi scrive che si fatica a riconoscere lo Schrader morale, sceneggiatore per Scorsese dei capolavori incandescenti Taxi Driver, Raging Bull, Bringing out the Dead. In The Canyons i protagonisti vengono svuotati di qualsiasi profondità, sono ridotti a figurine monodimensionali che attraversano uno spazio filmico già esplorato, già visto. Anche la violenza sanguinaria che conclude il film è ripetizione meccanica di uno stereotipo, di un cinema che è già stato. Pertanto il senso di un film come The Canyons andrà cercato non nello script, segnato da dialoghi volutamente da soap, non nelle performance attoriali (brava Lindsay Lohan, molto meno gli altri due protagonisti maschili), piuttosto in uno schiaffo della luce (magnifica la scena di sesso a quattro), in una postura divistica dei corpi, in una nota del soundtrack. The Canyons è [solo] questo: un’esibizione, vuota e svuotante, di patina cinematografica.


«Il nostro è un film temerario, contro ogni produzione. Il cinema del secolo scorso non esiste più e non esiste più nemmeno l’egemonia delle sale cinematografiche: eppure sono certo che il cinema non sia destinato a scomparire» (Paul Schrader).

 

 

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