Regia di John Michael McDonagh vedi scheda film
Un film di religione estrema, potrei dire.
Non come Passion di Gibson, dove dal sangue potevi intravedere i trigliceridi, e neanche come L'ultima tentazione di Cristo di Scorsese, dove la fantasia soccorreva un Dio terreno.
In Calvario c'è l'uomo creato dal Signore, con tutte le sue derive, il prete immolato a Dio, con tutte le sue paure.
La ricerca e la catalogazione di tutti i valori possibili, alla scoperta di quelli, forse, perduti.
C'è un fare il prete in maniera scomoda, dove per salvare il salvabile bisogna di nuovo arrampicarsi sul Golgota, ripercorrere l'intero calvario, e magari scappare lasciando a Dio e al vento l'ingrato compito, oppure sostituirsi a lui maneggiando poche parole, pochissimi sacramenti.
E qualche virtù desueta.
Come il perdono, ad esempio.
Che non si insegna. Non si tramanda. Non si lascia in eredità. Si indica al massimo, si disegna nella brezza di una scogliera brulla, si cerca negli occhi di chi ti vuole bene davvero.
Fare il prete dove tutti ti odiano, dove pensano tu non possa servire, oppure implorano, a loro modo, che tu li redima tutti, indicando vie maestre, a toglierli d'impaccio.
Ma non è così. Non così semplice almeno.
Specialmente dove tu stesso stai faticando per capire a cosa servi, e come puoi servirlo, tutto quello che ancora non capisci, che ti sfugge, che fai fatica a disegnare, o a scorgere, anche negli occhi e nell'animo di chi ti ama da vicino.
Sei un prete solo contro tutti, e quando le difficoltà aumentano, anche contro te stesso.
Vorresti mollare. Fuggire via.
Anche se hai sparpagliato sul terreno con attenzione, accorto a non sprecare un solo seme. E il seme deve morire per portare frutto.
Per far si che una virtù desueta, trovi nuova linfa.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta