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The Girl and the Death

Regia di Jos Stelling vedi scheda film

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La recensione su The Girl and the Death

di leporello
8 stelle

Nel diciannovesimo secolo, in viaggio da Mosca verso Parigi con l’intento di proseguire i suoi studi in medicina e di perfezionare la sua conoscenza del francese, il giovane Nicolai (Leonid Bichevin) alloggia in un singolare albergo nel quale incontra e conosce Elise (Silvya Hoeks), prostituta e protetta dall’odioso “Conte” (Dieter Hallervorden), a sua volta proprietario e padrone delle ragazze, dell’albergo stesso, e di ogni cosa sia presente e visibile sulla scena. L’amore che esplode, non senza passare per qualche iniziale tentennamento, tra il giovane studente (traghettato nella nuova realtà da una sua conterranea, la maitresse Nina),  e la ragazza (con un sofferto passato e un tragico presente che la vede afflitta dalla tubercolosi) si scontrerà inevitabilmente con l’ira e la gelosia del Conte, sviluppandosi nell’arco di più anni durante i quali Nicolai ed Elise coltiveranno il loro sogno impossibile, sfidando una sorte più grande di loro e di chi insieme a loro condivide la vicenda.

Se il film può apparire a prima vista noioso e prolisso (molto scarni e poco incisivi i dialoghi), manierato e a tratti anche un po’ scontato, in realtà si può trovare un notevole punto di forza nella sua location, che lo valorizza e lo rende oltremodo interessante. “L’albergo” in cui si svolge l’intera vicenda, infatti,  (è un rudere ormai fatiscente quando l’anziano dottore vi si reca ad inizio del film, per posare un mazzo di fiori sulla spoglia lapide che reca unicamente il nome “Elise”) è da intendersi come un “non- luogo”, un posto estraneo al mondo, un’oasi a parte. Non si può capire infatti bene di che cosa si tratti realmente: un albergo, un bordello, un pensionato, un ricovero per anziani malati non autosufficienti, una bisca… Qualunque cosa sia, il luogo dove Nicolai ed Elise disperatamente si amano all’ombra dei versi di Puskin è un microcosmo a sé stante, una nazione indipendente, con leggi e regole proprie e propri canoni, con i propri abitanti e le loro gerarchie e i loro ruoli. In alcuni casi (prese naturalmente le debite distanze…), specie nelle scene di gruppo, sembra quasi di trovarsi in un ambiente metafisico stile allucinazioni da Overlook Hotel (Jack Nicholson in “Shining”). Altamente esplicative di tutto ciò, sono molte delle scene del film: oltre alla fulminea e fantasmatica “apparizione” dell’uomo alla reception al primo approdo del protagonista, lo sono la curiosa scena dell’anziana attrice che improvvisa versi da “Romeo e Giulietta” fingendosi poi abilmente morta, la sparizione di Nina verso l’epilogo del film nello studio del dottore, la scena “fantasmatica” del vecchio Nicolai di ritorno al rudere, ma soprattutto la scena magistrale della festa in maschera, grottesca e disturbante, dove Nicolai trova la sua rivincita ed insieme la sua irreversibile sconfitta nella due guerre parallele, l’una contro il Conte, l’altra per la conquista di Elise. “L’albergo” ed il suo “contenuto” (sono persone? sono entità?) è dunque il vero protagonista del film, il suo centro e baricentro, fatale ed ineluttabile come la morte che nel titolo viene evocata.

 “Het Meisje en de Dood” non è dunque certo un capolavoro, ma merita una qualche attenzione, dopo essersi cautelativamente armati di una buona dose di santa pazienza. Riguardo al cast, bisogna dire che Leonid Bichevin e Silvya Hoeks ce la mettono tutta e non riescono male, anche se entrambi inciampano non poco nell’approccio col francese, utilizzando il quale finiscono per figurare un tantino goffi. In particolare da Silvya Hoeks (forse la ragione primaria per cui può nascere una certa curiosità per questo film dopo averla vista nel recente, bellissimo “La Migliore Offerta” di Tornatore in cui aveva particolarmente impressionato), mi aspettavo personalmente una prova con più carattere. Anche rispetto alle scelte musicali (vagamente obbligate, dato il contesto temporale) il regista avrebbe potuto fare uno sforzo in più, in particolare scegliendo qualcos’altro che non fosse il pur magnifico, ma stra-abusato notturno in Mi-bemolle maggiore di Chopin.

Tutto sommato, buono.

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