Regia di Anurag Basu vedi scheda film
Che bel regalo ci viene dall’India. L’esotismo delle favole moderne di Bollywood, per una volta, cede il passo ad una fiaba universale e senza tempo, nella quale l’amore è un protagonista che combatte e soffre, in maniera nobile e mai autocelebrativa. Il vero sentimento si esprime, si sa, in maniera spontanea e cieca, ma nella vita si deve fare strada a suon di lacrime e rinunce. In questa storia lunga e tumultuosa come un fiume in piena, il romanticismo è un territorio cinto d’assedio dal cinismo di chi bada solo alla convenienza, al denaro, alla reputazione della propria casta. Gli intrighi si avviluppano intorno al dolore di un giovane sfortunato, nato privo dell’udito ed incapace di parlare, ed il cui nome è la storpiatura di una speranza: si chiama Barfi, come il suono farfugliato che gli esce a stento dalle labbra quando vorrebbe invece dire Murphy, la marca della radio sul cui logo era impresso il volto di un bambino che a sua madre piaceva tanto. Mentre la donna lo portava in grembo, sognava che suo figlio fosse bello come lui. Ma il suo bimbo, purtroppo, non è nato come un bambolotto della pubblicità. È cresciuto bene, ed è diventato un uomo onesto e sincero, però comicamente diverso e dunque emarginato. Paradossalmente, sarà proprio il suo carattere buffo e spavaldo da tenero clown a fare di lui un principe azzurro, conteso tra due donne di opposta condizione: un’avvenente ragazza dell’alta società, promessa in sposa ad un ricco signore gradito ai suoi genitori, ed un’adolescente affetta da autismo, appartenente ad una famiglia un tempo facoltosa, ma poi caduta in disgrazia con la morte del suo capostipite. I dislivelli sociali movimentano il quadro, ma non sono l’elemento fondamentale di questo dramma morbidamente intessuto di limpida sensualità e profonda coscienza morale. Il vero problema è riconoscere e seguire la via giusta, in un mondo che, da più parti, con malizia travestita da saggezza, si affanna a indicarla come quella sbagliata, pericolosa da percorrere e quasi certamente senza sbocco. In questa giungla di cinica e strumentale ipocrisia, l’immagine della felicità degrada nel ritratto sfocato di una chimera, che si può solo malinconicamente ammirare da lontano. Sono tanti i chilometri che separano le varie tappe di questo racconto, i cui personaggi si incontrano per poi perdersi di vista, per volontà propria o altrui, e ancora ritrovarsi dopo rocambolesche peripezie. Ai momenti di solitudine e disorientamento si alternano gli attimi memorabili in cui due cuori riescono a battere all’unisono, accompagnati dalle melodie di un poetico musical che si stacca in volo dal presente per alludere all’eternità. È l’elegante movimento della leggerezza che sfiora la trascendenza, quando indossa le sobrie vesti della serietà, restando libera dagli eccessi retorici e dagli accenti della spettacolarità sdolcinata di certe romanze popolari. Forte di questa rispettabile virtù, la love story di Barfi, Shruti e Jhilmil può attraversare a testa alta la realtà, senza timore di mescolarsi con i suoi risvolti più complessi o più banali. La parabola di vita può così intrecciarsi col racconto giallo, assecondandone il passo irregolare e lo sviluppo oscuro e carico di tensione. Un’altalena di emozioni scandisce il ritmo oscillante di un’avventura che si nutre di chiaroscuri, e alla fine fa vincere il bene, conservando nell’anima - come un tesoro di inestimabile valore – il dubbio che le verità possibili siano tante, ma siano le nostre scelte ad abbracciarne una, per renderla, tra tutte, e in assoluto, la più importante.
Barfi! è stato selezionato come candidato indiano al premio Oscar 2013 per il migliore film straniero.
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