Regia di Herman Yau vedi scheda film
Questo capitolo delle avventure del maestro Ip Man è un prequel: parte dalle origini del mito cinematografico e ci mostra le sue vicissitudini e lotte per emancipare il destino cinese dal giogo colonialista, ma anche per svecchiare e ibridare il Wing Chun.
Lo scionivismo, purtroppo, seppur ampiamente presente nelle due passate pellicole dedicate alla vita, a questo punto romanzata, del mitico insegnante di Bruce Lee (più nella seconda che nella prima fatica del regista Wilson Yip con protagonista Donnie Yen), in questo terzo capitolo prende nettamente il sopravvento su tutto il resto; risultando, a mio avviso, completamente esagerata. Senza voler rovinare la visione, ho trovato il finale “esplicativo” delle bassezze nipponiche assurdo e fuori luogo, con la sua aurea di demonizzazione totale della malvagità dell’avversario. Un vero peccato, perché il film, pur non risultando imprescindibile, si mantiene, fino al crescente squilibrio strutturale “iper patriottico”, su livelli accettabili, con la buona prova marziale dell’abile e imperturbabile protagonista Dennis To Yu-Hang e dell’ormai veterano della serie Fan Siu-wong (nei panni del fratellastro Ip Tin-chi). La prima parte, soprattutto, rimane la migliore del film, con la lenta crescita morale e stilistica del giovane campione, nel mezzo della crescente guerra commerciale e di potere fra cinesi e giapponesi; anche la sua storia d’amore con Cheung Wing-shing (l’algida Huang Yi) è raccontata con delicatezza e “adorabile” classicità stilistica. Tutti gli elementi tipici del genere d’azione cinese, comunque, sono presenti nella non particolarmente originale trama, tecnicamente ben sorretta dalle immagini e dalle professionali (ma non indimenticabili) coreografie dei molti combattimenti. A questo proposito, un’altra pecca ben visibile è rappresentata dall’inconsistenza dei “villains”, anonimi comprimari che non garantiscono il necessario “antagonismo” scenico alla vicenda. Un’occasione parzialmente sprecata.
Spionistica.
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