Regia di Bertrand Bonello vedi scheda film
FESTIVAL DI CANNES 2014 - CONCORSO
Il 2014 è, tra l'altro, l'anno del grande stilista: su di esso, sulla sua vita, i suoi amori, il suo stile e fascino, si sono ricorse due produzioni a buon budget nella ricorsa ad arrivare per prima.
E se come tempistica ha vinto il più tradizionale biopic di Jalil Laspert, come originalità di trasposizione di una vita libertina ma anche impegnatissima a creare e portare avanti uno stile ed un gusto davvero marcati, il film di Bonello, presentato con successo ed il consueto scalpore come succede ogni volta che torna a presentarsi il regista Bertrand Bonello. Uno che se ne infischia di piacere alle masse, che rinuncia alle regole fisse, rigide ed inflessibili che spesso ingessano i biopic a pure operazioni calligrafiche, e sceglie di narrare in oltre due ore e venti circa quindici anni di vita del celebre stilista, a partire quasi dalla fine, quando l'uomo di successo, già mito a ancor giovane, si rifugia in un albergo di lusso a Parigi sparendo dagli occhi di tutti, ufficialmente “per poter finalmente dormire”, come confesserà al concierge nella hall dell'hotel.
La vita del celebre designer di moda torna indietro in un lungo flash back giostrato con sapienza da Bonello, che tuttavia tralascia gli inizi presso la ricca casa algerina della famiglia, la gavetta presso la Maison Dior, per concentrarsi sul creatore del marchio delle tre lettere dorate sovrapposteYSL, dei suoi amori ufficiali, verso l'abile e scaltro uomo d'affari Paul Bergé (un Jeremie Reigner imbolsito ad arte che non rinuncia a mostrarsi in nudo integrale assieme al suo pupillo), genio e valorizzatore del talento del compagno a cui si deve indubbiamente tutto il merito tecnico-strategico-tattico della riuscita del brand; ma anche e soprattutto di quelli meno ufficiali, come quello rivolto all'affascinante ed enigmatico personaggio simil Freddy Mercury interpretato con l'abituale melliflua lascivia da un adeguato Louis Garrel, incontrato in occasione di uno dei frequenti festini di casa Saint Laurent.
Ma Saint Laurent è soprattutto un film d'attori, dove la presenza omoerotica di nudità esibite, se non ostentate, diviene qualcosa di ben più profondo ed intenso di una maliziosa rappresentazione di un mondo di apparenza ed esteriorità estremizzata.
E Gaspard Ulliel, ragazzo prodigio di dieci anni prima con un grande melodramma di Jeunet e in seguito, dopo l'avventura americana del giovane Annibal Lecter, un po' dimenticato o sottostimato dal jetset che conta, torna alla grande nel ruolo della sua vita, rendendo alla perfezione la fisicità (prorompente, con quel fisico magro e da levriero, ma al tempo stesso possente e muscoloso) di un genio dell'innovazione del gusto del vestire, del modo di intendere il bello, dell'abbinare colori, vestire una donna talvolta mascolina, ma anche così sofisticata e trasformata, se completamente complice dei suoi saggi suggerimenti (la trasformazione in diretta di Valeria Brun Tedeschi è una delle scene più riuscite ed efficaci che ci fa capire come il regista, abilssimo nel filmare i dettagli di abiti e stoffe, abbia centrato il cuore e l'animo del suo personaggio).
Un biopic che non sembra un biopic, dopo un flash back che viene interrotto da uno successivo, stavagante, arrischiato e sin troppo tardivo, dove incontriamo un nuovo e ben più vecchio Saint Laurent, inevitabilmente sfiorito dal passare degli anni e dalle stravaganti abitudini tendenti all'eccesso, qui interpretato efficacemente dal bello per eccellenza che fu, il viscontiano Helmut Berger di oggi, o quello che crudelmente ne è rimasto: un uomo la cui perfezione di un tempo è solo un lontano e crudele ricordo, come uno scherzo del tempo che passa, probabilmente una delle paure più grandi del celebre e insuperato maestro dello stile YSL.
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