Regia di John Wells vedi scheda film
Le continue sorprese saranno un susseguirsi di segreti, di rivelazioni, di offese ritrattate tra le lacrime, si ripensamenti e di addii definitivi. Nella baraonda nessuno uscirà con la palma di vincitore, inesorabilmente.
Solo le ricorrenze speciali e gli eventi luttuosi riescono a riunire le famiglie i cui componenti sono ormai pezzi staccati e autonomi che vivono lontano. Ogni loro reunion, a volte, da momento di scambi formali di sorrisi e saluti, può diventare luogo di resa dei conti, di verità nascoste per anni e spiattellate in faccia, di insulti sopiti per quieto vivere. Per la famiglia Weston questo momento arriva all’improvviso, quando il vecchio e ubriacone poeta Beverly decide di sparire nel buio di una palude lasciandosi affogare, nell’afoso e insopportabile agosto dell’Oklahoma, nella contea di Osage. Sua moglie Violet accoglie così le tre figlie che non vede da tanto tempo: Barbara, che si porta dietro il marito da cui si è dolorosamente separata e la figlia che fuma erba e non mangia carne per evitare di ingurgitare la paura degli animali; Ivy, la figlia che vive sola ma ha un segreto difficile da raccontare; Karen, la più sbandata, che si trascina dietro l’ultimo amante del momento. A queste si aggiungono per forza di cose la sorella Mattie Fae e suo marito Charlie, con il loro figlio timido e imbranato Little Charles. Sono quindi undici personaggi che si siedono alla tavola per la cena del funerale e ognuno vomiterà i propri fallimenti, ma non nel vuoto o sul pavimento. No, addosso agli altri, senza risparmiare nulla. Sarà l’O.K. Corral della famiglia Weston, in cui Violet, seduta a capotavola, assumerà il comando delle operazioni di dissotterramento delle angosce rimosse, delle verità indicibili, dell’ascia di guerra, in quella terra di pellerossa, per il regolamento finale dei conti.
Mamma Violet – il personaggio più complesso - è capace di essere buona e spietata, sempre con la sigaretta accesa noncurante del suo cancro alla bocca, e ha come nemica principale la figlia maggiore Barbara, altra dominatrice, simile alla madre: le dispute tra le due sono fuochi incendiari in cui vengono pian piano tirati in ballo un po’ tutti gli altri. Le continue sorprese saranno un susseguirsi di segreti, di rivelazioni, di offese ritrattate tra le lacrime, si ripensamenti e di addii definitivi. Nella baraonda nessuno uscirà con la palma di vincitore, inesorabilmente.
Mentre i maschi sono relegati in secondo piano, recitando in sottrazione (vedi Ewan McGregor) o in toni melodrammatici (Benedict Cumberbatch), la pièce teatrale del magistrale Tracy Letts (suo il Killer Joe di Friedkin) viene di peso trasferita sul set cinematografico aggiungendo il dodicesimo personaggio che fa da sfondo essenziale: il paesaggio, la campagna deserta e desertica di Osage County. La recitazione è una lezione di interpretazione teatrale e melodrammatica in cui se Meryl Streep (Violet) si rivela ancora una volta maestra in maniera indiscutibile, Julia Roberts (Barbara) è semplicemente gigantesca, fino al punto che secondo me è sul gradino più alto del podio di questo meraviglioso cast. La regia di John Wells non deve far nulla, non deve intervenire: lo avesse fatto avrebbe rotto il prezioso incantesimo creato sì da una eccellente recitazione corale, ma soprattutto avrebbe rovinato il magnifico rapporto recitativo tra le due prime donne. Un’avvertenza essenziale: solo vedendolo in lingua originale con sottotitoli si riesce a comprendere le finezze delle varie intonazioni di Mery Streep e la forza recitativa mai vista prima di Julia Roberts. Film di alta classe degnamente accompagnato dalla musica blues di Eric Clapton, unico sottofondo che addolcisce la tigre Violet.
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