Regia di Beryl Koltz vedi scheda film
Un film lussemburghese dal titolo ammiccante, a cui si aggiunge, sulla locandina, l’effetto intrigante del marchio del divieto ai minori di 18 anni. Ma non è una commedia porcellona, né un’iperbole trasgressiva alla Russ Meyer. È la storia dell’iniziazione all’amore, e alla vita tout court, di un “vergine” quarantaquattrenne. Il protagonista, che ancora non conosce i veri piaceri del corpo e dello spirito, si chiama Ferdinand Fairfax, ed è il classico signor nessuno, residente da sempre nella provincia dell’esistenza, dove le giornate si trascinano tutte uguali, senza altro senso se non quello di tirare avanti fino a far venire sera. Il suo mondo è piccolo, muto ed ermetico come le vasche dell’acquario presso cui lavora: un’attività noiosa ed ormai in declino, con i soldi che scarseggiano ed i guasti che avanzano. Fino a che, improvvisamente, Ferdi si accorge di appartenere ad un tutto molto più vasto di quel locale immerso nella solitudine e nel silenzio. Fish Land è solo una colonia periferica di quel variopinto universo che porta il significativo nome di Worlds Apart: una multinazionale dello sport, del divertimento, del turismo che gestisce un grande resort pieno di attrazioni. È qui, che da un momento all’altro, Ferdi viene trasferito. Viene assegnato alla sezione termale, dove uomini e donne di ogni età circolano nudi tra la sauna, la sala massaggi, il bagno turco e il parco. Insieme a tutta quella carne, sudata e fumante, il nostro ingenuo omino scopre una realtà grottescamente segnata dalle anomalie, quelle che sono impresse nelle figure dei dipendenti della struttura: un principale nevrotico, una massaggiatrice non vedente, un’addetta alle pulizie affetta da voyeurismo e probabile ninfomania, una collega obesa e malinconica. L’imperfezione viene esibita con una naturalezza che sfiora l’esibizionismo, e Ferdi ne rimane sconvolto. Tutto quello spettacolo della deformità sembra una provocazione rivolta contro la sua insicurezza, che l’ha sempre indotto a starsene in disparte, tenendosi lontano soprattutto dalle compagnie femminili. La gente che lo circonda è brutta, infelice e strana, ma non per questo si nasconde. E la stessa vita non si preoccupa di manifestare tutte le sue incongruenze, continuando a riversare, anche in quel luogo di ozio e relax, la sua atavica propensione al caos, lanciando palline da golf nel tubo che alimenta la fontana, o spingendo una scimmia dello zoo in mezzo ai clienti stesi sulle sdraio. Inconvenienti e disgrazie non smetteranno di mietere vittime intorno a lui, ed è forse anche in virtù di questa evidenza, amara e confortante allo stesso tempo, che Ferdi si renderà finalmente conto di non essere un fenomeno isolato. Dopo un’infanzia infelice e la perdita di entrambi i genitori, ha trascorso troppi anni chiuso nel suo eremitaggio casalingo, tra montagne di vecchi dischi in vinile, e la nostalgia per quell’arte musicale che era stata l’anima della sua famiglia. Prima che quel repentino cambiamento di abitudini lo costringesse a fare i conti con tante novità, Ferdi era convinto di non possedere niente altro che quel patrimonio di memorie, personalissimo e sofferto, e di non avere nulla da condividere col prossimo. Gli basterà scoprire che quelle melodie, da lui tanto amate, possono essere apprezzate anche da perfetti estranei, per cominciare a respirare l’aria fresca di una libertà in cui tutti sono chiamati ad essere se stessi, con semplicità, senza vergognarsi dei propri limiti, né delle proprie emozioni, nobili o meschine che siano. Siamo tutti irrimediabilmente buffi, avvolti nella nostra fisicità nervosa, dai contorni irregolari e dalle forme sfuggenti. Nelle pieghe della pelle e dei muscoli è disegnata l’espressività della nostra individuale follia: il desiderio di crescere, la voglia di essere diversi, la paura di risultare inadeguati. Ci spogliamo e ci esponiamo al sole, ai vapori, agli unguenti per diventare più belli o per sentirci meglio. Siamo frementi e vanitosi, mentre ci lasciamo plasmare come pupazzi di gomma. Ma è sufficiente distogliere lo sguardo dalla polpa molle di cui siano fatti, per cogliere il meglio di noi stessi e vedere ogni cosa sotto un’altra luce. Hot Hot Hot è una favola che fa sgorgare dalla caricatura irriverente uno spirito romantico alla Peynet: di sbagli ne commettiamo tanti, ma il magico segreto sta nell’accettarli. Perché tutto è innocente ciò che finisce in gioia.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta