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Dukhless

Regia di Roman Prygunov vedi scheda film

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La recensione su Dukhless

di OGM
8 stelle

Senz’anima. La parola è per metà russa, per metà inglese. È divisa tra due universi che, dopo anni di guerre militari, politiche ed economiche, hanno finito per fondersi, globalizzando il mercato dei beni materiali e delle identità culturali. Il ventinovenne Maxim Andreev Yevgeniyevich  è un manager di spicco presso la Megapolis, una multinazionale del settore finanziario, con sedi a Mosca e a Parigi. È un dandy post-sovietico che ha fatto proprio il mito del denaro, con gli usuali contorni di donne, automobili e locali notturni. Il successo sembra un giocattolo a portata di mano, mentre, in realtà,  è un meccanismo fondato sull’intrigo, e in quanto tale, sospeso sull’abisso della perdizione. La sua immagine superficiale è il volto luminoso di una libertà sorridente e maliziosa, ma sotto la vernice sgargiante troppi pericoli sono in agguato. Max lo scoprirà ben presto a proprie spese, accorgendosi che in quell’ambiente falsamente dorato i colleghi ed amici non sono mai complici, ma sempre rivali o addirittura nemici. La solita predica contro le insidie della ricchezza non sarebbe credibile, però, se si affidasse unicamente al cliché dell’homo homini lupus. Per trasformarla in una storia autentica e parlante occorre caricarla di suggestioni provocatorie, che utilizzino gli eccessi come pennellate di un surrealismo in grado di anticipare la vertigine avvertita da un’anima sull’orlo del precipizio. Il film di Roma Prygunov immerge il protagonista in una vorticosa miscela di mondanità e solitudine, presentate come gli estremi opposti di un’esaltazione egocentrica rivestita di una ridicola illusione di onnipotenza. Il ricco e brillante belloccio finirà per perdere tutto, compresa la faccia, mentre era troppo impegnato a compiacersi per accorgersi delle manovre ordite dietro le sue spalle.  Godersi i propri privilegi, cercando magari di togliersi qualche soddisfazione supplementare, è un trastullo ingenuamente individualista, che pone chi ne è portatore in una situazione di grande fragilità. Max diviene facile preda di chi, in un senso o nell’altro, ha tutto l’interesse a cambiare le cose. Come quelli che puntano ad appropriarsi dei suoi soldi o della sua posizione. O come quelli che, sull’altro versante della società, combattono per un mondo più giusto e più equo.  Affaristi senza scrupoli e militanti ecologisti sono gli intraprendenti avversari con cui Max deve fare i conti, e che indossano maschere fuorvianti, con i lupi che sembrano agnelli e viceversa. Chi urla e compie violente azioni di protesta partecipa allo spettacolo da cattivo, mentre chi fa la bella vita trasmette una rassicurante idea di pace e benessere. Il paradosso è dipinto a tinte forti, luci e colori sono i marchi di un’euforia totalizzante, di una festosa smania di conquista che fa allegramente a pezzi lo strisciante senso del declino. Ma il punto è che i coriandoli, ricadendo a terra, finiscono per ridursi in spazzatura.  

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