Regia di Albert Serra vedi scheda film
FESTIVAL DI LOCARNO - CONCORSO INTERNAZIONALE
Dopo il Don Quixote dell'esordio con Honor de Cavalleria (2006), dopo la meravigliosa contemplazione dei Re Magi ne "El cant dels ocels" (2008), l'ideale trilogia incentrata su personaggi che appartengono all'inventiva e alla tradizione artistica e letteraria prodotta dall'eccellenza umana anche per dare risposte difficilmente dimostrabili o per scongiurare o rendere accettabili paure e incognite irrazionali, non poteva concludersi in modo più epico, arrischiato e coraggioso se non con l'ipotetico incontro di due "tombeurs des femmes" per eccellenza: Casanova, primo fra tutti, e addirittura il Conte Dracula, fine intenditore (ed assaggiatore ovviamente) di perfezioni ed armonie femminili.
"Casanova contro Dracula" insomma, per sintetizzare volgarmente un duello epocale unico e raro che potrebbe essere - con ancor più sfacciata grettitudine - spartanamente accostato ad un "Goldrake contro Mazinga" o ad un "Superman contro Batman", o peggio ancora ad un "Rocky contro Rambo".
In più, e contribuendo in tal modo a rendere tutto altamente irresistibile, creando attese cinefile d'altri tempi in noi "curiosi" od appassionati, il fatto che questa sfida epocale sia diretta dal giovane regista spagnolo più particolare (ed inccessibile, oltre che visivamente affascinante) dell'ultimo decennio, rende la combinazione un mix affascinante e già "cult" prima ancora di essere affrontato.
Serra, che almeno un po' conosciamo grazie alle notevoli e non facili opere precedenti sopra accennate, è un cineasta che si traforma ogni volta più un pittore, in un tessitore di immagini; che deliberatamente utilizza esclusivamente una macchina costantemente fissa per ricreare atmosfere che ripropongono luci calde e tenui di candela, in grado di ricreare a loro volta uno stile romantico, caldo e cupo nello stesso tempo, con nature morte e volti e corpi di esseri umani, uva e melograni, cacciagione e selvaggina senza vita.
Un mix di elementi che nella sua fissità consente allo spettatore di perdersi in una bellezza assoluta ed in una perfezione nella quale la trama si svilisce e i due antagonisti perdono almeno parte della loro peculiare e prepotente personalità per inserirsi quasi con sottomissione in un contesto figurativo che è tutto ciò che conta veramente.
La cura della potenza espressiva e visiva, la maniacalità della sistemazione delle luci fioche ma potenti allo stesso momento, è certamente di più di quanto ogni "normale" cineasta riserverebbe ad un elemento fondamentale come la sceneggiatura, che qui come nei due casi precedenti risulta un supporto più che un punto di sostegno per l'opera d'arte, un optional più che un elemento fondamentale.
Detto ciò, la lunghezza di circa due ore e mezza costituita da un susseguirsi pressoché ininterrotto di tele viventi incentrate magistralmente sulle atmosfere libertine ed eleganti tipiche del XVIII secolo, in atmosfere agresti o campali assolutamente irripetibili, non aiuta certo a conferire all'opera una facilità di fruizione e di assimilazione. E' tuttavia anche vero che la meraviglia per la bellezza visiva percepita nella sua complessità, supera di gran lunga la evidente difficoltà di accesso ad un percorso narrativo che risulta spesso impenetrabile; come i meandri di un cervello geniale, quello del suo realizzatore, brillante ed ineguagliabile per purezza espressiva, ma non per questo facilmente percorribile senza un solido allenamento visivo ed intellettuale, ed una predisposizione alla contemplazione che odora di santità.
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