Regia di Albert Serra vedi scheda film
Potrebbe sembrare una banalità, ma Historia de la meva mort è davvero un film fatto di immagini - beffarde, ironiche, violente, grottesche. Che si costituisco poco a poco; che si disfanno velocemente. Ciò non deve stupire: quello dello spagnolo Albert Serra è un cinema che, in fondo, vuole solo immaginare. Come nel precedente Honor de Cavalleria, dove non v’erano raccontate le gesta dell’ultimo (o l’unico, secondo il regista stesso) dei Don Chisciotte possibili, nemmeno in Historia de la meva morte, a visione ultimata, sapremo niente di più e niente di meno su altre due altre figure-chiave dell’immaginario occidentale: Casanova e Dracula. Perché a Serra non interessa “costruire” alcunché su quei residui narrativi che ruotano intorno ai suoi personaggi. Da postmodernista, preferisce svuotare fino all’osso l’essenza stessa dei soggetti (possibili), e realizzare, piuttosto, trasposizioni «di quelle pagine bianche, tra un capitolo e l’altro».
In Historia de la meva mort, questo “gioco” con l’immaginario – che indubbiamente c’è – fa presto spazio anche ad una riflessione ben più interessante. Attraverso i suoi tableau vivant, Serra vuole infatti indagare il passaggio cruciale dall’Illuminismo settecentesco (incarnato dal libertino Casanova) al Romanticismo, proprio dell’Ottocento (Dracula). Il film diviene così un viaggio filosofico per immagini - un tramonto della ragione a favore dell’irrazionale – che dialoga, in maniera urgente e originale, con lo stato attuale del cinema contemporaneo. Tutto questo, con quello spirito beffardo e anarchico che bene si addice a questo inusuale regista.
C’è, infatti, qualcosa di assolutamente beffardo nel volto paonazzo e truccatissimo di Casanova, mentre ride a crepapelle, ubriaco, di fronte alle proprie feci. Egli, da intellettuale illuminista (vicino più a Sade che a Voltaire), sembra interessato unicamente alla pratica di azioni, tutte corporali: mangiare, fornicare, defecare. Oppure, lasciarsi andare in logorroiche e divertenti invettive contro cattolici, cristiani e Cristianesimo in generale. Tutte pratiche che, però, vengon meno nel corso del suo incontro/scontro con la figura di Dracula, durante un inaspettato viaggio attraverso i Carpazi. Un “confronto” – che le immagini velate e soffuse di Serra rendono ben poco tangibile, ma piuttosto suggerito – che condurrà il film ad una lenta e sconnessa discesa nell’irrazionale, attraverso avvenimenti inspiegabili – tra le tante, la merda (uno dei fils rouges del film) che diventa oro – ed evocative sequenze notturne (che si contrappongono alla luce – della ragione - della prima parte).
Historia de la meva mort, nella sua lunga durata e nel suo stile di difficile fruizione, diviene così un vero e proprio tour de force per lo spettatore. Quello di Serra è decisamente uno sguardo non conforme; anche nei confronti dei nuovi trend del cinema d’autore contemporaneo. Soprattutto perché annulla le certezze dello spettatore nei confronti di ciò che vede, il quale deve continuamente riconsiderare il proprio sguardo. Comicità e inquietudine, in Historia de la meva mort, si inseguono costantemente. E più di una volta lo schermo (quella protezione che intercorre tra noi e il film) sembra cedere improvvisamente, facendoci scorrere un brivido lungo la schiena – che ciò sia determinato da un urlo improvviso, una risata in camera, un vetro che (metaforicamente) si rompe, forse non è poi così importante. Perché Historia de la meva mort, nel suo raccontare il tramonto di un’epoca, vuole forse presagire l’avvento di un nuovo cinema, che forzi i princìpi di ragione (anche spettatoriale) a favore delle pieghe, improbabili, dell’immaginario.
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