Regia di Joko Anwar vedi scheda film
“Wilder paranoia this time, please!”
Un uomo (Rio Dewanto) si desta di colpo da una semi-sepoltura. Cerca di dare un senso al suo smarrimento e si guarda intorno nella fitta boscaglia, ma niente. Tira fuori il cellulare, ma non ha nessun contatto salvato e pure la telefonata d'emergenza va a vuoto perché...ha perso la memoria!
La corsa disperata fino ad un cottage per le vacanze vuoto lo porta solo a vedere un filmato, girato evidentemente apposta per lui, in cui una mano ignota accoltella brutalmente una donna incinta (Hannah Al Rasyid). Scappa di nuovo nella foresta, per poi fermarsi e mettere mano al portafoglio in cerca di indizi: una carta d'identità col suo volto a nome John Evans e una foto con quelli che dovrebbero essere i suoi cari; la donna in foto è la stessa sequestrata e assassinata nel video, mentre gli altri due soggetti non possono che essere i figli adolescenti.
Inizia così un'affannosa ricerca nella giungla, che è però anche una fuga da un misterioso assassino. Insomma, una vera caccia all'uomo e alla propria identità nel mezzo del nulla, fra canti d'uccelli e ticchettii di sveglie misteriosamente disseminate ovunque con l'allarme puntato.
Ma niente è come sembra...
“Modus Anomali”, titolo evocativo e privo di senso, è un piccolo film indonesiano a firma di Joko Anwar prettamente studiato per il mercato internazionale, come evidenzia il ricorso alla lingua inglese che tanto penalizza la dizione del protagonista Rio Dewanto, encomiabile nello sforzo di reggere il ruolo per 82 minuti ma in affanno in credibilità nella parte centrale. Ciononostante e - oserei dire - purtroppo, il film non è riuscito a far parlare troppo di sé ed ha fallito sotto il profilo distributivo, risultando disponibile solo in rete (oppure, volendo, al modico prezzo di 27 sterline c'è il DVD su Amazon.uk... No, eh?).
“Modus Anomali” si divincola per quasi un'oretta alternando, in maniera sparsa, i seguenti risultati: scena interessante, dialogo o grido imbarazzante in mezzo ai lunghissimi e calibrati silenzi, climax di tensione, azione insensata, clamorosa incongruenza e via dicendo. Eppure va detto che Anwar, fin lì, cerca di darsi un tono dignitoso, evitando di metter su il solito splatter-survival da quattro soldi: si affida costantemente ad una fastidiosa ipercinesia con la macchina a spalla, incastra piani sequenza tremolanti ad effetto, costringe lo spettatore allo stesso ignaro punto di vista del protagonista, evita spaventi semplici e regge benino la baracca.
O almeno così credevo: nei 20 minuti finali si assiste ad un ingegnoso e sadico plot twist, a lungo atteso ma comunque sorprendente, accompagnato intelligentemente da un cambio di registro anche sul piano sonoro e visivo (spunta un brano che sa di road trip song, la shaky-cam si placa).
Non diventa certo “Funny games” in quanto privo di qualsiasi connotazione metafilmica, ma emerge un lato perverso, morboso e insensato proprio non più della sola vicenda, ma anche della finzione cinematografica. La sceneggiatura di Anwar forse riserva comunque delle falle e delle domande inesaudite (invogliando così ad una seconda visione), ma passa dall'apparire un'ingenua sciocchezzuola al rivelarsi un ingranaggio concepito per fregarti. Ci riesce.
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