Regia di Joko Anwar vedi scheda film
Un uomo si sveglia in un bosco, in pieno pomeriggio, sepolto sotto un palmo di terra. Non ricorda chi sia né dove, ma davanti a sé ha una casa e decide di andarci per chiedere aiuto. Le luci sono accese, lui bussa e grida ma nessuno risponde, quindi gira la maniglia e la porta si apre, e nel silenzio la sua attenzione viene rapita da una videocamera digitale collegata ad un televisore, lasciata su un cavalletto con sopra un biglietto che invita a premere play: il filmato cui si trova ad assistere è il brutale assassinio di una donna incinta, trafitta nel ventre con un grosso coltello da un uomo mascherato. Terrorizzato, fa qualche passo indietro e inciampa proprio nel cadavere (che prima era al di là del suo campo visivo), al ché d'istinto si alza e scappa, e dopo aver cercato invano le chiavi della macchina parcheggiata lì fuori torna al punto di partenza. Sedutosi in terra si accorge di avere con sé il portafogli, lo prende e lo fruga: dentro, tra le altre cose, ci sono il proprio documento di identità e una foto: nel primo ritrova nome e stato civile — John Evans, sposato; nella seconda, che reca sul retro la dedica «Ti vogliamo bene, John», abbracciata sorridente ad un maschio e una femmina adolescenti riconosce colei che poc’anzi ha visto riversa esanime in un lago di sangue sul pavimento.
Sono trascorsi appena dieci minuti, ma Modus Anomali di Joko Anwar sta già procedendo spedito: un uomo senza memoria sta cercando disperatamente appigli al proprio passato, ma incappa in rivelazioni che gli fanno gelare il sangue nelle vene; e nonostante non riesca a farsi tornare alla mente nulla, in quella foto con dedica legge indicazioni di chiarezza schiacciante che lo inchiodano alle proprie responsabilità di padre e di marito, o meglio, di vedovo.
Chi è stato a massacrare la donna? Perché ha lasciato quel video in bella vista? Dove sono finiti i figli? John non sa nulla sulla genesi delle efferatezze che stanno avvenendo in quell'angolo sperduto dell'Indonesia, ma appare via via più evidente come all'interno di quel meccanismo lui abbia un ruolo ben definito. I suoi dubbi, i suoi interrogativi e le sue incertezze sono gli stessi che il regista insinua nello spettatore, che da subito veleggia nel medesimo stato di torpore, e come fosse vittima della stessa amnesia lo accompagna sulle tracce dei due ragazzi, alla ricerca di quel qualcosa che possa dare a tutta questa violenza un significato: Anwar cerca un'adesione a tutto tondo — non solo emotiva ma anche fisica — con il protagonista, e a tal scopo sceglie di incollarsi al suo corpo, di guardare con i suoi occhi, di far propri il suo smarrimento, la sua paura per l'indefinito e la sua fuga dai mostri generati dalla paranoia.
Fintanto che quest'alchimia perdura, Modus Anomali si presenta teso ed angosciante: merito dell'interpretazione dinamica del versatile Rio Dewanto, pressoché onnipresente in scena, spesso solo, quasi sempre senza parole; e merito di una regia che sa giocare con i silenzi e con gli spazi e che, egregiamente supportata dalla fotografia fosca di Gunnar Nimpuno e dall'ottimo lavoro sul suono di Khikmawan Santosa, riesce a costruire un'atmosfera colma di mistero ed inquietudine.
Poi, dopo un'ora di appostamenti, inseguimenti e trappole, al culmine di un'indagine spuria che ha assunto i connotati di una caccia al tesoro insanguinata e beffarda, lo score (di Aghi Narottama, Bembi Gusti e Ramondo Gascaro) che fino ad allora aveva contemplato per lo più elettronica d'ambiente cede il passo ad un brano indie rock (Bogor Biru dei Sore) che sottolinea l'interruzione della simmetria e l'inizio della lunga parte finale, nella quale pur restando la steadycam e la camera a mano ne vengono meno le corse forsennate e la frenesia. Anwar mantiene la prospettiva ma muta il registro, perché mentre lo spettatore continua a porsi domande, sullo schermo va in onda la coscienza: conserva così un passo aderente all'umore del protagonista e resta fedele al principio della linearità del racconto, che però da intenso, disperato e cieco che era si fa algido, grottesco e rivelatorio. Ma in parte reticente.
Sceneggiatura intrigante ma imprecisa o scelta ponderata di indeterminatezza? Al netto della sospensione dell'incredulità 'di ordinanza', è questo il quesito che si pone a chi prova a dare un'interpretazione inappuntabile ed un senso che vada al di là della mera comprensione all'ultimo lavoro di Joko Anwar. La risposta sul metodo, forse, è nel titolo stesso: Modus Anomali, infatti, viene dal latino ed ha un suono ed un'allusività accattivanti, ma sostanzialmente non vuol dir nulla, o per lo meno nulla che sia grammaticalmente corretto; e d'altronde non potrebbe essere altrimenti, provenendo pari pari da un fotogramma di quel delirio tout court che è il precedente film del regista, Pintu Terlarang (The Forbidden Door). Il ponte che collega idealmente le due opere è il filo rosso di un cinema che ha il coraggio di ibridare la geometria del thriller 'a orologeria' alle astrazioni di un mistery surreale ed oscuro, un cinema sobriamente allucinatorio e orgogliosamente imperfetto che proprio tra le smagliature dello script (di cui qui Anwar è responsabile unico) nasconde la propria irrazionale potenza, il proprio indubbio fascino, e le proprie innate doti affabulatorie.
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