Regia di Béla Tarr vedi scheda film
Cos'altro aspettarsi dai rapporti umani? E' infatti una sfera di compromessi e convenzioni che necessitano requisiti di immobilità e rassegnata accettazione. Come rispondere a necessità che invece si presentano come prettamente umane? Come dimenticare il sentimento che dovrebbe, sulla carta, sconfiggere qualunque ostacolo (economico o di altro tipo) e essere la base di qualsiasi rapporto umano, almeno quello amorevole?
Il bianco e nero scarnificato del primo Tarr è indagine sociologica, è riflessione esistenziale ma pratica e materiale, è realismo imparziale, spesso alle prese con conflitti e scontri di difficile risoluzione. Come L'outsider, il film inizia con la musica, non più prodotto di un singolo personaggio ma di una piccola orchestra, che intona la sinfonia della tragica quotidianità in una piazza periferica di qualche città ungherese. Nonostante infatti la veridicità dell'immagine, Tarr riesce a prescindere dalla contingenza della situazione particolare ed estende il soggetto raccontato a infinite famiglie che, all'inizio di Rapporti prefabbricati, si affacciano da case tutte uguali e da finestre tutte uguali, costrette in una geometrica fisionomia da casa popolare che è indice di situazioni "geometricamente" prevedibili come quelle degli attriti matrimoniali di una coppia con due figli, incapace di rassegnarsi al loro ruolo, nel bene e nel male: la moglie che si occupa tutto il giorno della casa e dei figli, il marito che lavora un po' fuori e si vede un bel po' di TV dentro, occupandosi dei figli solo nei momenti a lui più graditi per illustrare loro definizioni "prefabbricate" di imperialismo e colonialismo, spettri che si aggirano nei dialoghi e che sono cause iniziali della precarietà economica e psicologica di questa famiglia come di tante altre. E i tanti litigi che Tarr porta in scena con perizia descrittiva e naturalistica (una scena addirittura si ripete, sebbene con inquadrature e modalità diverse) non sono limitati nella loro linearità dal flashforward iniziale (che forse è il presente e anticipa un lunghissimo flashback), ma risentono di una leggera carenza di idee propria di un regista forse ancora poco maturo, intrigante nella maniera in cui costruisce e destruttura i personaggi ma che prima e dopo aveva rivelato capacità nettamente superiori nei tratteggi caratteriali e nei risvolti umani, evitando lunghe sequenze non noiose ma "riempitive" di canti e balli per mettere in contrasto la felicità ostentata del mondo circostante e la mestizia rassegnata dei due protagonisti, uomo e donna sempre più distanti, sempre più incapaci di comprendersi, sempre meno "uniti" in matrimonio. La casa e la famiglia rendono, nel mondo proletario del Tarr realista, la vita un gigantesco e fastidioso ossimoro di esteriorità gioiosa e interiorità (casalinga) fortemente depressa.
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