Regia di Paul Haggis vedi scheda film
Cosa mai può essere successo all'apprezzato regista dei nobili, compositi e riusciti Crash e Nella valle di Elah, con questo suo ultimo Third person, conservato in naftalina per due anni (ora capiamo perché) e sopraggiunto nelle sale proprio ora, alla vigilia delle feste pasquali, ad occupare spazio prezioso, solo a danno di alcune altre opere che al contrario di quest'ultima, possiedono valori intrinseci anche notevoli, ma non riescono né riusciranno a farsi spazio ne a farsi spazio tra il pubblico per impossibilità di arrivare alla distribuzione e quindi alla fruizione?
Lo stile frammentato del racconto, in questo caso tre storie principali contraddistinte da tre metropoli come New York, Parigi e Roma, che si intersecano tra di loro lasciando spazio ad altre vicende e personaggi secondari, tentano di incastrarsi tra di loro con la destrezza e l'agilità che contraddistinguevano i due primi film citati dell'autore, ma ingolfandosi ed intralciandosi uno con l'altro lungo tutto un disastroso percorso interminabile che irrita, annoia e lascia esterrefatti.
Passi, tutto sommato, la vicenda della cameriera Mila Kunis che cerca di ritrovare, con l'aiuto dell'avvocatessa Maria Bello, le condizioni per riavere l'affidamento del figlio bambino, finito assegnato all'ex marito James Franco, pittore di successo dalle velleità scarabocchiate simil-pollockiane.
Arriviamo presto a dubitare di resistere fino alla fine e temere il peggio nell'incontrare uno scrittore in hotel nella capitale francese, in crisi creativa alle prese con una amante Olivia Wilde (che occhioni!) che cerca di utilizzarlo come veicolo per scalare il successo, senza per questo far cessare nell'uomo, i rimorsi per aver lasciato una moglie matura ma bellissima (per forza, è Kim Basinger!): vicenda insulsa e scialba, banale sotto ogni punto di vista.
Ma l'orrore deve ancora arrivare e lo ritroviamo ogni qualvolta ci trasferiamo a Roma, dove un Adrien Brody imbambolato e credulone ogni oltre immaginazione - al quale a quanto pare non giova per nulla, dopo lo scempio di Giallo nella Torino di Dario Argento – l'aria italiana, almeno dal punto di vista cinematografico, si trova coinvolto in un ricatto subdolo e posto al rilancio delle somme, nel difendere una giovane donna di cui si innamora perdutamente.
Terrificante la storia, la recitazione di Brody, cane bastonato più che mai, attorniato per l'occasione da due attori italiani altrove carismatici come Riccardo Scamarcio e Vinicio Marchioni, impegnati rispettivamente in un ruolo totalmente superfluo il primo e manierato e macchiettistico, oltre che ridicolo, il secondo. Per non parlare della comicità involontaria a bizzeffe, come quando Brody entra a chiedere un prestito al Banco di Foggia (incredibile) e ne esce fuori con un pacco di contante da 50 mila euro, in barba ad ogni più risaputo provvedimento antiriciclaggio.
Se Crash, premiato con l'Oscar, ricordava, seppur in lontananza, la capacità di intrecciare magistralmente storie differenti alla maniera altmaniana di America Oggi, e Nella valle di Elah colpiva per la dolorosa partecipazione dei personaggi coinvolti, qui in Third person ogni avvicendamento tra una storia e l'altra non fa che acuire la sensazione di posticcio ed inutile, nonché mettere in evidenza una lunga sequenza di luoghi comuni legati ad ambientazioni posticce e pedanti, che raggiungono la soglia del disgusto ogni qualvolta ci ritroviamo catapultati nella città capitolina.
Insomma un film sbagliato, snervante, insulso, scritto malissimo e convenzionale, che spreca un cast altrove e sotto la direzione di altre mani più ispirate, piuttosto prezioso (soprattutto in termini di cachet) o quantomeno di rilievo.
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