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Philomena

Regia di Stephen Frears vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Philomena

di laulilla
4 stelle

Un film che mi è parso alquanto furbo, girato per piacere a tutti, con un occhio, o forse due, agli Oscar.

 

Se Philomena, adolescente e ingenua, non si fosse innamorata di un bel giovanotto e soprattutto, per dirla con le suore che l’assistevano (si fa per dire!) durante il parto, se non avesse abbassato le mutandine, non avrebbe commesso quell’orribile peccato che ora si trova a scontare fra i dolori del travaglio, prova manifesta dell’ira di Dio nei suoi confronti!

 

Non siamo nel medioevo, ma nella cattolicissima Irlanda del Novecento, quando alle ragazze che durante una notte appassionata si erano un po’ distratte non veniva più consentito di vivere in famiglia, che si sarebbe coperta di vergogna, né, tantomeno, di abortire legalmente, né erano previsti anticoncezionali di sorta che potessero prevenire indesiderati concepimenti: le poverette venivano ricoverate dalle suore in qualche convento in attesa della nascita del bébé, che, svezzato e un po’ cresciuto, sarebbe stato venduto a ricchi coniugi americani senza figli.

 

Questa fu infatti la sorte del piccino di Philomena, Tony, il quale, non avendo voluto staccarsi dalla bimba a cui si era affezionato nel provvisorio brefotrofio di quelle sciagurate suore, fu adottato insieme a lei, diventandone il fratellastro.

Per cinquant’anni Philomena si era tenuta nel cuore il segreto di questo figlio, tormentandosi continuamente e sperando che qualche miracolo glielo facesse rivedere.
Com’è noto, però, i miracoli non avvengono facilmente, a meno che…

A meno che un giornalista provvisoriamente disoccupato, di nome Martin, venuto casualmente a conoscenza della triste storia, avesse deciso di raccontarla, mosso dalla pietà per lei (poca), dallo sdegno nei confronti delle istituzioni religiose cattoliche (parecchio), nonché dalla necessità di guadagnare qualche soldo (soprattutto).

 

La donna avrebbe reso pubblici i propri dolori e le proprie angosce, solo alla condizione che Martin l’accompagnasse negli Stati Uniti alla ricerca dell’ormai maturo “figlio della colpa”.

 

 

Ha in tal modo inizio lo strano viaggio, che dovrebbe permettere di riannodare quel filo che si era spezzato, di cui però la donna teneva ancora saldamente fra le mani un capo, simbolicamente rappresentato dalla fotografia del bimbo in salopette, che di nascosto era riuscita a ottenere da una suora un po’ più umana delle altre.

L’aspetto più intrigante e curioso del film è soprattutto nello strano sodalizio che si sarebbe creato durante il percorso americano fra l’anziana Philomena (la mostruosamente brava Judy Dench) e il relativamente giovane Martin (Steve Coogan), che non potrebbero essere più diversi: laico, spregiudicato e colto lui; religiosissima (nonostante tutto) e priva di cultura lei, imbottita dei luoghi comuni dei romanzi rosa e della TV.
Ne sarebbe nata una bella amicizia grazie alla quale entrambi smussando le rispettive posizioni estreme (!) avrebbero compreso le reciproche ragioni.

 

 

 

Il film, diretto con molto mestiere, formalmente impeccabile e ottimamente interpretato, è, a mio avviso, nonostante tutto il bene che se ne è scritto, molto deludente sia per la scarsa originalità della vicenda, sia per il modo del racconto, che più tradizionale non potrebbe essere e che mi è sembrato derivare dalla preoccupazione di piacere a troppi: ai cattolici, ma anche ai laici; ai clericali, ma anche agli anticlericali; agli anziani, ma anche ai giovani; ai gay ma anche agli etero; agli Irlandesi e (soprattutto, direi) agli Americani, specialmente se repubblicani,… ma anche no.

Pensar male è un malizioso peccato, ma spesso ci si azzecca: forse voleva piacere, con smaccata ruffianeria, soprattutto all’Accademy, in vista degli Oscar.

 

 

 

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