Regia di Stephen Frears vedi scheda film
Philomena è una settantenne che ha sofferto e saputo resistere alle prepotenze e alle angherie di una vita che non le ha fatto sconti né concessioni. Una donna ora anziana, ma ancora piuttosto lucida ed in forma, grazie anche alla sua nuova anca in titanio che la sorregge meglio di quella originale e non è soggetta a piegarsi alla ruggine del tempo. Le sofferenze subite in una vita di duro ed umile lavoro presso un severo convento che la accoglieva in quanto orfana, non sono niente in rapporto a quella patita in seguito alla separazione forzata dal figlio piccolino, frutto di un amore fugace e poco prudente, sottrattole dalle glaciali suore presso le quali dimorava per darlo in adozione contro la sua volontà a chissà quale famiglia. Alla ricorrenza del cinquantesimo compleanno del misterioso figlio perduto, Philomena malinconica, rivela finalmente anche all’altra sua figlia minore dell’esistenza di un fratello, e il fatto che di lui non si sappia più nulla. Per caso la figlia entra in contatto con un giornalista in cerca di ridefinizione, dopo essersi scottato le piume per aver tentato di riciclarsi con scarso successo nella vita politica, ed ora anche per questo in crisi creativa ed esistenziale. Costui dopo qualche riluttanza accetta di aiutare la donna nella ricerca del figlio, impegnandosi anche a documentare la storia e a siglare in tal modo il suo ritorno attivo nel mondo del giornalismo. Una ricerca complessa che li porta sino a Washington, fino a ritrovare, non senza amarezza, le tracce della vita, certo brillante ed impegnata a livello istituzionale nei ranghi del partito repubblicano, dell’agognato figlio. Vincitore annunciato, ma alla fine come spesso accade dopo i vani strombazzamenti, solo morale, dell’ultimo Festival veneziano, Philomena, prodotto e sceneggiato dal bravo attore protagonista Scott Cooper, trova nella direzione sicura e di solida esperienza di Stephen Frears, la giusta misura per appassionare e tener desta l’attenzione di una ricerca della verità che diviene sin emozionante, senza per questo dover cercare di sorprendere a tutti i costi con forzature o colpi di scena poco plausibili. Forse perché la vita reale non ti fa sobbalzare tanto facilmente con sorprese imprevedibili o lieto fine entusiasmanti, ma al contrario ti avvolge spesso con la sua triste coltre di verità e realistico pessimismo che finisce quantomeno per forgiarti nel carattere e nella forza di continuare a proseguire un cammino ad ostacoli molto spesso impervio e pieno di fatica e sofferenza. Più che per la qualità intrinseca in sé, il film corretto, ma non certo innovativo o sorprendente, si fa apprezzare per la efficacissima interpretazione di Judy Dench, una Philomena composta che trova il coraggio di perdonare le sue torturatrici con una forza d’animo che sfiora l’eroicità, ma che non rinuncia, nemmeno nella drammaticità di un dolore incontenibile, a stupirci con una autoironia che rivela fine intelligenza ed autocontrollo raro e di valore inestimabile.
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