Regia di Antti Jokinen vedi scheda film
La Finlandia si presenta agli Academy Awards con una storia ambientata in Estonia, all’epoca delle purghe staliniste. Il romanzo della scrittrice Sofi Oksasen è un racconto di donne e guerra, di uomini, eroi e traditori. Nulla di tutto questo, però, rientra nei canoni classici dell’epica cavalleresca, dove per amore si combatte e per lealtà si muore. Alle tradizionali virtù si sostituisce qui la forza di passioni estreme, di istinti indomabili, che si sovrappongono alle questioni politiche calpestandole con la rabbia dei desideri frustrati. Aliide è sempre stata innamorata di Hans, il marito di sua sorella Ingel. E non smetterà mai di cercare, con ogni mezzo, di conquistarlo, anche a costo di subire persecuzioni e torture, e di vendersi al nemico. Quella ragazza si annulla nel miraggio di un rapporto impossibile, che la controparte nemmeno lontanamente concepisce. Nel disperato tentativo si realizzare quell’utopia, Aliide si rende vittima di tutte le contraddizioni della sua epoca, cavalcando, con fatica e dolore, il clima disumano di una guerra fratricida, fra legami di sangue spezzati e menzogne usate come merce di scambio. La sua tenacia si manifesta in una straordinaria crudeltà rivolta soprattutto contro se stessa, e che, solo in un secondo tempo, viene estesa a tutta la sua famiglia. Quella donna è sola, con il suo sogno, in un mezzo ad un ambiente devastato da sanguinose divisioni, nel quale prendere posizione può significare, a seconda dei casi, avere salva la vita o essere condannati a morte. La sua esistenza ruota intorno alla sua casa natale, che, dopo l’arresto dei genitori, e il passaggio di Hans alla resistenza anticomunista, diviene il teatro di gelosie segrete e di pericolosi sotterfugi. C’è un uomo nascosto sotto il pavimento, che è ricercato dalla polizia, e se catturato, è destinato alla fucilazione. Aliide appoggia in tutto e per tutto Ingel nel proteggerlo, ma quest’ultima ignora la vera ragione di quella attenzione per il cognato, che sembrerebbe solo l’espressione della naturale solidarietà tra sorelle. La protagonista, tacitamente, reca in sé tutta l’amarezza delle aspirazioni inconfessabili, quelle che sono in conflitto con le aspettative e le regole del mondo, e dunque vanno mascherate, per poter essere perseguite, in silenzio, sotto la copertura di una penosa ipocrisia. Il suo volto è la barriera impenetrabile dietro alla quale un cuore è costretto a battere forte senza fare rumore, mentre vorrebbe farsi sentire almeno da lui, che invece ha altri problemi da affrontare ed altri sentimenti da difendere. Il romanticismo della sua lotta solitaria si perde, così, a causa dei troppi rospi che deve ingoiare; è questo a rendere il film sordamente ruvido, pur nella sua bruciante intensità di epopea interiore, di sfida che procede nell’ombra per inseguire il sole di una grandiosa rivelazione, o anche solo la timida luce di una carezza. Scabro e duro è anche il viso di Aliide anziana, così come compare nella cornice del film, graffiato dal tempo e dall’affronto di un destino che non ha voluto concederle nulla. La sua tragica vicenda si chiude, ai giorni nostri, intrecciandosi con quella della giovane Zara, che trova riparo presso la sua cascina dopo essere sfuggita ai suoi sfruttatori, individui senza scrupoli che la costringevano a prostituirsi. Il gioco è sempre lo stesso: una caccia cruenta, in cui prede e predatori non possono fare a meno, per restare fedeli ai rispettivi ruoli, di sporcarsi le mani e la coscienza. Puhdistus interpreta questa verità da una prospettiva femminile, nella quale, una volta tanto, il cosiddetto bello delle donne si fa brutto per diventare un’arma micidiale e combattere, a torto o a ragione, contro tutto ciò che fa ingiustamente soffrire.
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