Regia di Ethan Coen, Joel Coen vedi scheda film
Breve racconto di pochi giorni nella vita del cantante folk di origine gallese Llewyn Davis nella New York del 1961, tra la frustrazione di un insuccesso editoriale come solista dopo il suicidio del suo partner artistico, le grame esibizioni 'umplugged' in un locale notturno ed una vita perennemente in bolletta con l'unica prospettiva di mollare tutto per seguire le orme paterne in una carriera da mozzo nella marina mercantile.
Sulla vita e sulle opere del cantante folk Dave Van Ronk nella New York degli anni '60, i fratelli Coen centrano la poetica dolente e ironica insieme di un accorato ritratto umano ed artistico sulla falsariga di una infelice e sfortunata declinazione del sogno americano negli anni che avrebbero rivoluzionato culturalmente ed economicamente la società a stelle e strisce, tra l'exploit di nuovi fermenti musicali e la conquista dello spazio nella nuova era kennedyana, laddove rimangono ben ancorati per terra i piedi di chi sbarca il lunario con il miraggio di un irraggiungibile ribalta produttiva ed una vocazione artistica tanto nobile quanto irrimediabilmente fuori mercato. Ritratto (letteralmente, grazie alla splendida fotografia di Bruno Delbonnel) in chiaroscuro di una vita ai margini della grande Mela, dove si incrociano destini e velleità artistiche dei sognatori del Greenwich Village, quello dei Coen è una incursione elegante e poetica insieme sulla nobiltà di una ispirazione artistica che si infrange nel dramma esistenziale di un irrimediabile insuccesso professionale, il mesto riflesso di una poetica musicale che, come nelle strofe e nelle melodie folk cantate dai suoi infelici protagonisti, parla di solitudine e sradicamento, di disillusioni e smarrimenti, di amori perduti e strade lastricate dei sogni infranti alla ricerca di una irrealizzabile felicità ('Five Hundred Miles' di Hedy West). Dosando con studiato mestiere il realismo magico di una accurata ricostruzione d'ambiente e le suggestive melodie di una strepitosa colonna sonora, i Coen tallonano il loro disilluso e romantico protagonista (un Oscar Isaac perfettamente in parte) lungo il tragitto accidentato di un indolente insuccesso umano e professionale, l'emozionante e struggente soundtrack di una esistenza che rimane confinata (il dramma dell'arte nell'arte) nel cuore e nelle menti di una ristretta cerchia di appassionati, laddove il discorso registico (sin dallo splendido incipit della tradizionale 'Hang Me, Oh Hang Me') dispiega l'incanto dell'esibizione alla sconfinata platea del pubblico pagante che si estende mirabilmente oltre le soglie della rappresentazione cinematografica. Queto dato meta-cinematografico che prefigura la inconfondibile cifra narrativa del cinema dei Coen (sempre in bilico tra impietoso cinismo e sublimazione metaforica della rappresentazione teatrale della realtà) trova compiutezza nella scrittura di un epilogo ellittico della storia, che sembra chiudersi proprio laddove era cominciata, stringendo il cerchio attorno alla vita del protagonista dopo averne allargato appena gli orizzonti ai pochi giorni di una illuminate 'tranche de vie'.
Oltre al gia' citato Oscar Isaac e la presenza di attori di primordine dalla Mulligan a Timberlake, da Goodman a Murray Abraham i Coen dimostrano ancora una volta di non sbagliare mai neppure un casting. Meritatissimo,almeno per una volta, Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes 2013.
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