Regia di Ethan Coen, Joel Coen vedi scheda film
1961. Llewyn Davis il menestrello, il cantastorie solitario, il triste musicante girovago, il randagio abbandonato per le strade del Village. Come Ulisse, vive la sua odissea di viaggi (sur)reali tra New York e Chicago, e tra un letto ed un divano (va bene anche il pavimento) di amici, colleghi, conoscenti, quasi mogli, fidanzate di altri uomini. Come un gatto, è bisognoso di carezze e di un caldo rifugio, a patto che non sia una gabbia, perché mai potrà tradire la sua natura raminga. È ribelle, ostinato, perfino rissoso, ma resta un puro di cuore, un selvaggio gentile cui tocca adeguarsi alle squallide regole del vivere quotidiano, dove urge guadagnarsi il proverbiale pezzo di pane e assicurarsi un tetto sulla testa. Llewyn Davis conserva furente la sua dignità di artista libero, non scende a patti con il vile danaro. Piuttosto deve. Ma Llewyn Davis è stanco; non gli basta una sana dormita per scrollarsi di dosso la dura fatica dell’esistenza. Arranca e s’ingegna come può. Scrocca sigarette. Accetta inviti a cena e improbabili passaggi sotto la pioggia sferzante. Non ha un cappotto e nemmeno tanti soldi. E le sue scarpe sono intrise del gelo della neve. Llewyn Davis è un punto nell’infinito, invisibile, forse dimenticato. Ma quando si trova su quel piccolo palco, su quella sedia sotto luci soffuse, in quell’ambiente fumoso, l’occhio di bue a delinearne appena i contorni, allora, in quel momento Llewyn Davis esiste. Canta da dio le sue struggenti ballate folk, come ce ne sono tante in giro, nel suo tempo. Lui è uno nel mucchio, un vagabondo sognatore come molti, tutti uguali a prima vista ma tutti diversi se visti da vicino. Llewyn Davis ha un passato, come chiunque, che lo ha condannato. O ha pensato bene di tagliarlo fuori. Che gli rende impossibile e sfortunato il presente. Llewyn Davis è un essere incompleto. Amputato e monco. Il futuro pare non aver futuro. Ma lui non devia il suo percorso. Gira in tondo senza approdare a nulla; come un disco rotto ripete se stesso all’infinito, recitando un copione di parole gesti situazioni che oramai conosce meglio delle sue uniche tasche bucate. Qui è là imprevisti, piccole varianti, ma alla fine la solfa è sempre la stessa. Llewyn Davis, il suonatore senza padroni che per beffa del destino -ma quanto pesano le sue scelte più inconsce?- gli tocca suonare per tutta la vita, è un perdente. E nel profondo, felice di esserlo.
Una perla quest’ultimo lavoro dei fratelli Coen.
Provare per credere.
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