Regia di Kristina Buozyte vedi scheda film
Ritorna la fantascienza di Viaggio allucinante e de La zona morta. Succede in Lituania, con un’opera che restituisce il pensiero umano alla dimensione dell’ignoto, dove l’avevamo lasciato per un attimo, prima di riprenderci dalla breve eccitante stagione della parapsicologia e cadere nuovamente nel disincantato scetticismo di chi senza combattere, né sognare, si arrende subito all’evidenza. Avevamo dimenticato che il bello della visionarietà è la sua inafferrabile incoerenza, quel carattere onirico che, quando si mescola con la razionalità, è davvero in grado di darci il capogiro. Ancora una volta, una scienza medica amante dell’immaginazione, si mette a progettare esperimenti e formulare congetture, lanciandosi nell’esplorazione di ciò che si trova dentro gli insondabili recessi della vita, corporea e mentale. Lukas ha una cuffia di elettrodi sul capo. Galleggia nudo in una vasca piena d’acqua, chiusa da un coperchio e completamente buia. Dall’altro capo del filo c’è lei: una ragazza in coma, che, attraverso un cavo di collegamento, gli trasmette i segnali della propria attività cerebrale. L’uomo deve fare da ricevitore, registrare i messaggi e comunicarli ai ricercatori. Rispettare il programma sarebbe semplice, se quegli impulsi fossero solo un linguaggio in codice, traducibile in concetti ed azioni come in un film che scorra davanti agli occhi. Questo accadrebbe se la comunicazione fosse un processo esterno, filtrato dai sensi, e dunque distinguibile dalla percezione della realtà. Invece il suo contenuto arriva direttamente dentro l’anima, dove si trasforma in memoria, emozione, sentimento. La viva rievocazione di una drammatica storia d’amore si trasfonde da un cuore ad un altro. Lukas, durante i suoi sonni telepatici, si vede nelle vesti di uno sconosciuto, il defunto compagno della donna, con la quale intraprende di fatto una relazione: un legame invisibile agli altri, ma per lui perfettamente reale e totalmente coinvolgente. Per non esserne privato, Lukas arriva a tenerlo segreto ai medici, venendo meno ai termini del suo contratto. Così il racconto può continuare, anche per noi, tra flash di passione ed incubi di morte. Nulla ci giunge nuovo, in questa lenta rassegna di erotismo soffuso e di romanza tenebrosa, con la lunare plasticità propria delle forme che emergono dall’oscurità. Eppure quella crepuscolare galleria di déjà vu non si vergogna della sua aura datata, che trascina con la dignità spettante ai cliché immortali. L’ipnotica incomprensibilità della successione degli eventi, che sa un po’ di Bergman, un po’ di Lynch, riesce, nonostante tutto, a brillare di luce propria, come un’esperienza estetica di collaudato valore. La sua confezione rimane pregevolmente sobria, ed attinge al lirismo della nostalgia senza avanzare particolari pretese di armonia e profondità. È con un garbo attento ma modesto che Vanishing Waves ci dona il fascino intramontabile del (ri)visto, e questa sua gentile mancanza di originalità lo rende intensamente gradevole, e gradevolmente intenso.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta