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Hunger Games: La ragazza di fuoco

Regia di Francis Lawrence vedi scheda film

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La recensione su Hunger Games: La ragazza di fuoco

di scandoniano
6 stelle

Secondo capitolo cinematografico dedicato agli “Hunger games”, tratto dalla fortunata saga letteraria di Suzanne Collins. Stavolta Katniss Everdeen, vincitrice della edizione numero 74, in tour per promuovere la vittoria, riceve la brutta sorpresa che per l’edizione successiva saranno impiegati degli ex vincitori. Ovviamente lei e Peeta finiranno nuovamente nell’arena, per giochi sempre più spietati e cinici. Intanto nei distretti la rivolta comincia a farsi sentire seriamente…

Molto più veloce di quanto non lo fosse già il frettoloso romanzo, “La ragazza di fuoco” concentra nelle due ore di proiezione il victory tour, il principio di rivolta e la settantacinquesima edizione dei giochi. Ne viene fuori un polpettone in cui gli eventi si susseguono alla velocità del suono e nessun tema è affrontato in maniera adeguatamente approfondita (si veda la caterva di personaggi gustosamente introdotti prima, ma miseramente tralasciati poi); la sola cosa che rimane sono le urla smisurate e la continua tensione dipinta sul volto di Jennifer Lawrence, sempre più protagonista e sempre più preponderante rispetto a Josh Hutcherson, interprete di un personaggio che ispira quasi compassione per quanto inetto al cospetto della compagna di sventura. Proprio il cast, come nel primo film variegato, è un indubbio punto a favore, nonostante l’ingresso di un Seymour Hoffman anonimo, per la prima volta in carriera addirittura inadeguato.

Il tema della disperazione nell’animo di Katniss, inerme, impotente, frustrata è evidenziata in maniera talmente marcata (coerentemente con la versione letteraria d’altronde), da risultare dominante rispetto alle altre, pur valide tematiche affrontate. Non un cattivo prodotto, ma certamente un sequel non paragonabile al primo, ottimo, capitolo. Troppo forte l’influenza, cinematografica, dell’altra saga di culto coeva: i troppi punti di contatto con Twilight (il femminocentrismo, la protagonista debilitata che rinviene ad occhi sbarrati per profetizzare il cliffhanger, il preannunciato ultimo capitolo diviso in due film) non certo giovano all’operazione. Colpa del plot della Collins, certo, ma anche di una regia anonima.

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