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Hunger Games: La ragazza di fuoco

Regia di Francis Lawrence vedi scheda film

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La recensione su Hunger Games: La ragazza di fuoco

di M Valdemar
4 stelle

L'incendiato furioso sguardo finale di Katniss/Jennifer - destatasi da un lungo sonno (anche e soprattutto ad occhi aperti: tutti attorno sanno, percepiscono il suo destino fuorché lei stessa) - sembra presagire tempi di guerra e ribellione, e promettere scintille fuoco e fiamme. Proprio quel che è mancato finora, tanto nel primo mediocre capitolo quanto in questo moscio secondo, al dispetto di sottotitoli, roboanti soprannomi da battaglia e abiti sgargianti che s’avvampano a comando (digitale: l’effetto è visibilmente e puerilmente fasullo quanto i capelli violacei di Stanely Tucci).
Bisogna attendere una buona oretta e mezza - dopo che una noia quasi letale e una piattezza insensata regnano incontrastate - per avere un minimo di interesse nelle drammatiche vicende da camera (di adolescenti) di un’eroina/icona vestite alla moda di una convenzionale pop-distopia.
Dimensione che non raggiunge mai livelli accettabili, in quanto sacrificata in una posizione poco felice tra l’incudine di evidenti limiti qualitativi (innanzitutto di scrittura, ossia la fonte “letteraria” originaria e il conseguente adattamento cinematografico) e il martello delle rigide automatiche esigenze blockbusteriane in lega teen/young adult.
Infatti è da prediligere il puro lato spettacolare, appunto dell’ultima ora del film, quando si rendono nuovamente “necessari” - sia nelle strategie della finzione che in quelle della narrazione - gli Hunger Games: un po’ di movimento, azione, concitazione, pericoli che si palesano all’improvviso, i noti risaputi giochini/schemini di alleanze tradimenti e svolte, e via, la cosa si può seguire, tutto sommato.
Nell'evidente tentativo poi di cercare l’effetto sorpresa ed aprire ovvi varchi per il prosieguo della fortunata saga, nelle battute conclusive si affacciano trame da cospirazione che però certo non spiccano per originalità né sorprendono per nulla, poiché intuibili già da un pezzo, esattamente come per il ruolo del malcapitato Philip Seymour Hoffman sin dalla sua prima apparizione. Al grande attore, peraltro unico tra le illustri figure di Capitol City ad avere un aspetto sobrio, non truccato (magari sarà stata una condizione imposta per partecipare al film, chissà), vengono affidate parole che suonano come una roboante dichiarazione d’intenti: «se si sospende il giudizio morale può essere divertente». Mah.
Di divertente in realtà c’è ben poco, a meno che non ci si accontenti di comportamenti, acconciature e abbigliamenti stravaganti (quello in versione sposa indossato da Katniss, dopo l’ennesimo fiammeggiare simulato si trasforma assurdamente in una copia di quello de Il cigno nero con tanto di ali), o di combattimenti e scene d’azione all’acqua di rose.
Difficile inoltre commuoversi per davvero con gli stantii risvolti sentimentali o indignarsi per le faccende da lotta di classe e atti da dittatura: tutto già visto e vissuto con il primo episodio, del quale questo seguito è, in definitiva, una stanca, svogliata proposizione, probabilmente in attesa di scatenare il “meglio” nelle prossime puntate.
Il cambio di regia - dal “perduto” Gary Ross al modesto ma più conforme Francis Lawrence - non apporta alcunché di rilevante; del resto, appunto, l’obiettivo è ripetere la formula vincente e ottenere incassi enormi. Obiettivo raggiunto, ça va sans dire.
Restano giusto un paio di certezze/rimpianti: bene l’introduzione della “bad girl” Jena Malone, dotata di ottima presenza scenica (oltre a mettere un po’ di pepe nel brodetto filmico e alla protagonista che infatti se ne giova, vedi la scena dell’ascensore), che però poteva essere sfruttata decisamente meglio (eh, ma nelle prossime puntate e bla bla bla); l’altra, acclarata, è che gli Hunger Games non si meritano una stella luminosa come Jennifer Lawrence.

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