Regia di Francis Lawrence vedi scheda film
Se fosse la noia il termine di paragone, quello che ci fa capire effettivamente se un film è di buona qualità o meno, allora ci perderemmo in film senz'anima e senza qualità come Hunger Games: La ragazza di fuoco, che forse è semplice trasposizione del libro o forse si è preso le sue belle libertà per mostrare subito le spalle all'originalità, alla novità, per azzuffarsi con il già visto e il risaputo, non annoiando, appunto, ma irritando. Non tanto perché sia crudele l'idea di analizzare simile distopia (che non è niente di nuovo, ma mai era stata indirizzata direttamente ai ragazzi, e ci ha pensato l'autrice della trilogia Suzanne Collins) e di pensare quest'arena in cui i giovani per sopravvivere devono uccidersi a vicenda, ma perché se nel primo film era tutto più accomodante di quanto apparisse, nel secondo è tutto ancora più scoperto, ovvio, banale. Come se ci avessimo già fatto il callo, aspettiamo per un'ora che si ripropongano le medesime situazioni del primo, quelle che paradossalmente aspettiamo, perché del primo a piacerci erano state proprio le sequenze di combattimento nell'arena, in cui Jennifer Lawrence avrebbe potuto dimostrare tutta la sua presenza scenica androgina (adattissima per il ruolo, e allo stesso tempo assai femminile e attraente, a discapito di un sempre ridicolo Josh Hutcherson). E tutte le trovate della prima parte di questo sequel sono una riproposizione stantìa delle ambientazioni del primo capitolo, con la sola aggiunta che i due protagonisti devono recitare la loro parte di fidanzati, promessi sposi etc. mentre il cuore di lei batte verso un'altra direzione. La falsità, l'ipocrisia, il finto benessere dei più aristocratici: tutte saggezze in pillole che lo spettatore più sprovveduto saprà far sue e comprendere, a parer suo, nel profondo. L'indignazione, onnipresente e realmente pesante già in Hunger Games, qui diventa ancora più frettolosa, grossolana, esplode nelle ostentazioni kitsch dei ricchi (per cui è possibile però provare simpatia, vedi l'odiosissima donna sempre vestita in maniera squinternata), ma si compiace dei bizzari vestiti 'a fuoco' dei due personaggi, cadendo anche lei, certe volte, a vere semplici sfilate di moda. La critica nei confronti di questa società (non tanto fantastica, lo sappiamo fin troppo) si dilunga per almeno un'ora di film (e rimbomba fastidiosamente anche dopo), facendo sentire riappacificati con sé stessi coloro che tra il pubblico appoggiano la protagonista, che ancora meno che nel primo capitolo sarà costretta a prendere decisioni drastiche (sarà vittima di forze maggiori) e quindi risulta, disastrosamente quanto prevedibilmente, più insignificante. Viene attorniata da una serie di personaggi su cui tanto ci si sofferma per quanto riguarda qualità e capacità all'inizio ma di cui ci si scorda tempo due minuti nell'attesa insoddisfatta di qualcos'altro, di uno spunto nuovo, di qualche accusa che non sia facile; aspettiamo che Lawrence, che altrove ha saputo mettersi in gioco, dimostri il suo (già dimostrato) talento. La regia però è lo stampo del primo film, con le stucchevoli sequenze romantiche sempre presenti a fare da sincopi in riprese dinamiche l'una uguale all'altr, primissimi piani che riprendono volti monoespressivi (solo la Lawrence si salva, Sutherland e Seymour Hoffmann sono press'a poco ridicoli), personaggi destinati a passare nel dimenticatoio, un finale a cliffhanger che più non potrebbe infastidire. Giusto una pausa dal tedio generale ce la dànno i discorsi fra Donald "ex-Casanova" Sutherland e Philip Seymour Hoffmann, emblemi superiori di ridicolo involontario, ridondanti e pedanti, che si confidano cose che prima si erano già detti e vorrebbero bucare lo schermo con frasette così tanto banali da risultare innocue (Sutherland è fra i nemici più sottotono del cinema di avventura/azione del nuovo millennio).
Quando finalmente ci aspettiamo che le contese nell'arena (tic tac, tic tac, anche il risibile sta per scoccare) diventino confronto fra personaggi e disagio morale, ecco che veniamo catapultati nelle nuove pedisseque trovate narrative, fra scimmie arrabbiate, tsunami, movimenti tellurici rotatori, nebbie infide e uccelli urlatori, e i personaggi si confondono nella massa, perdono la loro identità (sicuramente il loro interesse) e appaiono e scompaiono dallo schermo un po' come capita per esigenze di trama. Così, nell'improvvisa fine delle contese (che riduce la parte dell'arena solo a un secondo tempo al cinema), in cui si placano gli animi, si comprendono i sentimenti e si svelano ruoli misteriosi, si comprende che sono passate forse più di due ore (o anche di più, se il tempo è soggettivo) in un'attesa non noiosa ma irritante del nuovo, almeno del pizzico di nuovo. Ma niente stimoli, Hunger Games: La ragazza di fuoco è un film dotato di quell'intrattenimento puro che risulta fastidiosamente fine a sé stesso, che inizia con i titoli di testa e finisce con i titoli di coda. Era meglio fermarsi al primo.
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