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The Wolf of Wall Street

Regia di Martin Scorsese vedi scheda film

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Enrique

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La recensione su The Wolf of Wall Street

di Enrique
5 stelle

Dalle smaglianti vetrate di una palazzo dell’alta finanza si vede tutto, benissimo. Si vede come girano le “cose”. E - quando siffatta “rotazione” non appare così “cristallina” - si spiega anche come funziona il meccanismo. È quello che, giocoforza (visto l’argomento affrontato), accade anche nell’ultima fatica di Scorsese.

Leonardo DiCaprio, Matthew McConaughey

The Wolf of Wall Street (2013): Leonardo DiCaprio, Matthew McConaughey

Ma il “ma” è di tutta evidenza. Stavolta la lezione di “alta” finanza (su come fare soldi facili, a danno dell’americano medio, raccontandogli frottole sofisticate) dura (ahimè) troppo poco. Mentre troppo a lungo dura tutto il resto…

TWOWS è un film pensato per un target di pubblico ampio (ma relativamente compatto quanto ad aspettative). Quello cresciuto a pane e Quei bravi ragazzi (nonché Casinò) e che si aspetta uno spettacolo non tanto aggiornato all’epoca della crisi economica più devastante di sempre, quanto ai nuovi “gusti” degli assuefatti palati cinefili (ovvero con meno astrusi nozionismi e più fruibile “sostanza”). L’introduzione al mondo dell’alta finanza diventa, quindi, una pratica noiosa da evadere in fretta o, in alternativa, da caricare di triviale (e tribale) significato allegorico. Il tecnicismo delle mansioni operative è poco più di uno spunto per esaltare la ferrea dedizione di Jordan Belfort/Di Caprio ad aizzare le illusioni dell’americano medio mentre, a sua insaputa, lo sodomizza divertito.

Ma c’è dell’altro che non convince appieno.

TWOWS è una sbornia da dipendenza (da un’orgia di dipendenze), senza crisi di astinenza.

È il pieno di consenso e di successo, senza che dei postumi vi resti traccia.

È la (presunta) condanna delle malefatte, senza espiazione della pena.

Scorsese, in pratica, si sintonizza sulla sola frequenza dell’America più ammiccante, sorniona e seducente e non cambia mai canale, finchè la voyeuristica, morbosa curiosità di (almeno) qualche spettatore (fra cui il sottoscritto) non inizi ad accusare segni di assuefazione, prima, di cedimento, poi, e di autentico disgusto, alla fine. Scorsese pigia sull’acceleratore dell’eccesso smodato e smisurato, dando esclusiva voce a chi, quel traguardo, persegue a tutti i costi e lasciando che cotanta sperticata bramosia scarnifichi il Sogno americano ad un mero progetto di arricchimento (e godimento) individuale.

Leonardo DiCaprio

The Wolf of Wall Street (2013): Leonardo DiCaprio

Della quota parte d’America che tira a campare lavorando al McDonald’s non vi è traccia.

Aleggia, invero, un (fatuo) sospetto di denuncia sociale (costantemente esorcizzata dal blaterare, a base di nonsense, dei protagonisti, in puro Tarantino-style), ma, su di esso, un cono d’ombra viene sistematicamente gettato dall’intermittente e ripetitiva sequela di seni scoperti, di pioggia di centoni, di sveltine da coffee-break, di fiche rasate, di sniffate epocali, di razzie di selvaggina cotonata, di caccia alla volp(ona) e di quant’altro (di sordido) si possa immaginare.

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L’iconoclasta turbinio di depravazione che scandisce la narrazione del film fagocita gli avanzi di quelle (presunte) buone intenzioni - che non siano già state derubricate (dal goffo teatrino delle caricature posticce - AtTheActionPark - che fanno da entourage alle peripezie del protagonista) a parodia involontaria (vedere per credere tutte le sequenze che coinvolgono la spalla di Belfort/Di Caprio, ovvero il patetico Donnie Azoff/Jonah Hill) - e risparmia, semmai, qualche momento di cinema davvero coi controfiocchi - che Scorsese non manca di ritagliarsi per renderci edotti del suo notevole talento (le scene memorabili non mancano e sarebbe irrispettoso provare ad elencarne solo alcune) - che va giudicato a parte.

Leonardo DiCaprio

The Wolf of Wall Street (2013): Leonardo DiCaprio

Rebus sic stantibus, trattasi di un prezzo da pagare, forse, un tantino elevato per assistere allo show scorsesiano asseritamente più audace e trasgressivo di sempre (eppur tuttavia così ligio ai canoni della più rodata convenzionalità holliwoodiana, ove solo si pensi che alla discutibile prassi di sottoporre il “gentil sesso” alle più disparate - e disperate - contorsioni possibili, ad uso e consumo delle più stravaganti fantasie sessuali maschili, corrisponda quella di un centellinato, ed alquanto pudico, nudo maschile).

Uno show dal minutaggio strabordante che, nondimeno, risulterebbe degnamente compendiato già solo dalle prime e dall’ultima scena del film.

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Quelle (le prime) che esprimono come l’edonismo sfrenato e perverso faccia il paio con la dorata schiavitù da ogni forma di dipendenza, mentre un totale delirio assiologico costituisce il punto di approdo di un marasma di vite dissolute. Quelle che offrono un’esibizione sconcia di tutto quello che, se solo lo desidera ardentemente, una fetta d’America (e perché non anche i rampanti yuppies di oggi sparsi un po’ in tutto il mondo?) potrebbe anche ottenere…

E quella (l’ultima) che descrive la ciclicità di un delirio destinato, nonostante tutto, a ripetersi ancora, ed ancora, ed ancora, ed ancora… finchè uno scalpitante epigono dalla mente più fervida di quella delle masse di polli che lo attorniano non si sarà fatto avanti per accampare pretese ereditarie sul luccicante testimone del maestro (l’ex-lupo di Wall Street).

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Uno spettacolo, dunque, alquanto discutibile, che riesce, quantomeno, ad esaltare le doti del bravo Di Caprio. Un attore (di cui, ormai, conosciamo, a menadito, la mimica facciale) che riesce, comunque, ad esibire alla perfezione tutte le sensazioni corporee vissute dal suo personaggio (dall’estasi più pura al dolore più estremo, passando per tanto sregolato godimento). Gigioneggia ininterrottamente per 3 ore; diverte e (eccome se) si diverte. Ecco, lui, sì, convince appieno e si candida a vincere quella benedetta statuetta che gli sfugge da troppo tempo.

P.S. Non sono un amante delle “opinioni” (!!) lunghe, ma “quando ce vo’ ce vo’”.

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