Regia di Marco Simon Puccioni vedi scheda film
«Io penso che un carcere debba essere un carcere, e che i detenuti debbano saper fare il loro mestiere. Io non sono la direttrice del Jolly Hotel, io dirigo un luogo di condanna per efferati delitti». Armida Miserere, tra le prime donne chiamate a dirigere un penitenziario, fu paladina dei diritti e dei doveri dei carcerati, sostenitrice dell’inviolabilità del regolamento e impermeabile al marcio e alla corruzione che intorno a lei hanno proliferato in 20 anni di servizio nelle più pericolose strutture di detenzione. Da Parma a Lodi, da Pianosa all’Ucciardone di Palermo, Puccioni segue la straordinaria mimesi di Valeria Golino, privilegiando l’interiorità ferita della donna al respiro di una storia che avrebbe forse meritato più ampiezza in cronaca. Segnata dall’uccisione a stampo mafioso dell’amato Umberto Mormile, la Miserere è un corpo privato dell’anima in perenne girovagare da un carcere all’altro, alla ricerca dei colpevoli dell’assassinio (lei, ex criminologa e amica dei magistrati Caselli e Sabella) e di un’altra ragione per svegliarsi al mattino. Una vita di emozioni implose, come il figlio morto in grembo dopo tre mesi di gravidanza, restituita con doverosa sottorecitazione e con messa in scena concreta fino a far male. Melodramma biografico di spessore, in rare occasioni si concede a un forzato lirismo intimista, che perdoniamo volentieri a un’operazione coraggiosa e intelligente, dedicata a uno tra i simboli di una coscienza perduta, di una morale incorrotta, di una giustizia giusta.
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