Regia di Marco Simon Puccioni vedi scheda film
Armida Miserere (incredibile assemblaggio di nome e cognome!) è stata una delle prime donne italiane a dirigere le carceri. Accadeva in anni difficilissimi, quelli dello Stato che, accordo più accordo meno (vedi i casi di Mancino e Napolitano), trattava con la Mafia. Gli anni del 41 bis, delle minacce ripetute alla magistratura, alla politica, agli uomini e alle donne di Stato, a Falcone e a Borsellino. Il film di Marco Simon Puccioni ci offre un altro, intensissimo ritratto femminile dopo quello doppio di Riparo, grazie all'interpretazione di una Valerio Golino sempre in parte, "femmina bestia", come la chiamavano da dietro le sbarre, donna in mimetica che dopo la barbara uccisione del suo amatissimo compagno, l'educatore Umberto Mormile (Timi), iniziò a caracollare per le carceri più difficili d'Italia: Pianosa, l'Ucciardone, Sulmona, Lodi. Sempre sola, senza amore, senza alcuna possibilità di poter colmare quel vuoto enorme lasciato dalla morte di Umberto, neppure col surrogato di due pastori tedeschi, anch'essi barbaramente trucidati dalla mafia.
Come il vento, a partire dalla banalità del titolo (uno di quelli destinati a essere subito dimenticati), è una mezza occasione persa: non solo perché la Storia rimane tropo spesso dietro le quinte, col copione che preferisce concentrarsi sulla parabola umana della protagonista, ma anche perché manifesta un'idea un po' troppo scarna e macchinosa di regia, con una sceneggiatura che ripete lo stesso schema dello spostamento della protagonista da un posto all'altro senza riuscire ad aggiungere tasselli determinanti.
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