Regia di Giovanni Veronesi vedi scheda film
Da quando giocava nei campetti a fine anni 60, agli anni zero del miracolo italiano di Berlusconi, Elio Germano è stato «l’ultima ruota del carro». Tuttavia onesto, innamorato, coerente nella sua ingenuità. Il cinema degli autori “medi” italiani (ultimamente Placido, Andò, Nicchiarelli e il più medio di tutti, Luchetti) tra canzoni e nostalgie fa i conti con il recente passato cercando nel periodo tra il ’68 e i mondiali vinti da Bruno Conti nel 1982 il momento preciso in cui siamo diventati quel che siamo. A sorpresa, dopo exploit soprattutto commerciali, si aggiunge alla lista Giovanni Veronesi con L’ultima ruota del carro, film ambizioso, certo, pieno di riferimenti alla nostra nobile commedia (Una vita difficile di Dino Risi pare il modello: ma allora Alberto Sordi era consapevole delle umiliazioni richieste dal conformismo politico e sociale; a Germano accade invece tutto “a sua insaputa”) che però non evita le trappole del macchiettismo più banale, dal quale si salva solo il personaggio di Haber, meno prevedibile. La storia italiana dagli anni affollati in poi passa attraverso i più beceri colpi bassi catodici (lo “spettacolo” del corpo di Moro, Carmelo Bene che fa Sgarbi da Costanzo, il macabro plastico di Bruno Vespa...) ma tutto appare didascalico e posticcio come i manifesti di Berlusconi e le macchine d’epoca in giro per le strade, mai viste così lucide e perfette. Della lunga sequenza della diagnosi sbagliata si cerca sbalorditi un senso, temiamo vanamente.
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