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L'ultima ruota del carro

Regia di Giovanni Veronesi vedi scheda film

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La recensione su L'ultima ruota del carro

di EightAndHalf
6 stelle

Un medio prodotto cinematografico italiano come questo corrisponde, probabilmente, al progetto più ambizioso e coraggioso di Giovanni Veronesi, un prodotto che fa sfigurare decisamente altre pellicole medio-piccole come la trilogia di Manuale d'amoreItalians e altri film che erano altra farina del sacco del regista (Genitori & figli era al limite pericoloso del ridicolo). L'intento (nobilissimo) del regista è sempre stato quello di raccontare l'Italia, più o meno indirettamente, attraverso piccoli personaggi disadattati che affrontavano realtà abbastanza squinternate o semplicemente estranee, ma che alla fine riuscivano a trovare la via verso la loro salvezza sociale. Così avviene per il protagonista de L'ultima ruota del carro, un mimetico Elio Germano, che cambia capelli, età e carattere per riproporre i vari stadi della vita dell'italiano medio, anzi, di un esempio raro di italiano, un piccolo anti-eroe umile (anche troppo) e simpatico, mai intenzionato a mirare troppo in alto e che ritiene bastevole il rapporto affettivo con la moglie, con il figlio, con l'amico (Memphis, divertente), con i vicini di casa. E' un piccolo eroe che riesce a sopravvivere a cinquanta stralunati anni circa di storia d'Italia, dal 1967 al 2013, senza mai cambiare né crescere in termini di esperienza, mantenendo sempre la stessa ingenuità e la stessa semplicità che lo relegavano all'ultima ruota del carro della sua famiglia, in cui il padre oppressivo e la madre incapace di intervenire lo spingevano a una sempre maggiore frustrazione. Non è ambizioso, non tiene troppo ai soldi, è convinto che sia la famiglia il centro della sua vita, in un Bel Paese prima sconvolto dalle Brigate Rosse, poi dai fondi illeciti ai partiti politici e infine dall'avvento ottimistico (!) dell'era berlusconiana. Sopravvivendo anche a un tumore e ad una retata della guardia di finanza all'interno di una segreteria del Partito Socialista, con a capo un pervertito Sergio Rubini, il protagonista le evita tutte, è l'unico che continua a sorridere mentre gli altri intorno a lui cedono sempre di più alla disperazione o all'illusione. E' un normalissimo proletario impegnato, innamorato e potenzialmente felice. 
Ma la commedia stona nei toni, nelle cadenze fin troppo italiche del film 'alla Veronesi', creatore di un genere soffocante e sempre in loop, che ripropone in continuazione stesse situazioni, stessi personaggi al limite del macchiettismo e stesse ingombranti riflessioni drammatiche sull'incapacità di inserimento dei suoi personaggi. Conciliando qualunque spettatore nei vari attacchi al sistema politico e al sistema sanitario (ma dell'Italia e dei suoi dottori ci dava un quadro perfetto Caro diario di Nanni Moretti senza riferirsi a evoluzioni storiografiche stile La meglio gioventù), mai mettendo in dubbio la bontà intrinseca ai personaggi principali (protagonista con la moglie) e scalfendo appena altri caratteri, come quello di Ricky Memphis, con lo scalpello del buonismo e del politicamente corretto (e qui ci rientra anche il self-voyeur Sergio Rubini, piccola caricatura-tipo di certa politica clientelare e truffaldina), Veronesi dirige una commedia per chi non si è stancato di questo tipo di commedie commosse, un film che sa essere ironico e sagace ma che vuole essere anche fastidiosamente impegnato, tanto da svestirsi di qualunque pudore nelle scene che istigano dispoticamente alla commozione. Non si mette in dubbio la fluidità narrativa, ma magari si trattiene qualche riserva riguardo alla regia professionale e priva di vero spirito registico; non si mette in dubbio la nobiltà delle intenzioni, ma non è tanto verosimile la calcolatissima partecipazione diretta a tutti gli eventi che contraddistinsero l'Italia in quegli anni; non si mette in dubbio l'abilità attoriale del cast, ma si finisce per criticare decisamente i limiti che un cinema talmente dosato e talmente incapace di osare (o forse Veronesi pensa di osare?) rivela nel lieto fine di tutto, in cui non c'è bisogno di troppi soldi e l'importante è amare. 
Uno dei miliardi di film condivisibili negli aspetti tematici ma talmente prevedibili e risaputi da destare quasi il nervosismo.
  

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