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L'ultima ruota del carro

Regia di Giovanni Veronesi vedi scheda film

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La recensione su L'ultima ruota del carro

di hallorann
4 stelle

L’ULTIMA RUOTA DEL CARRO è l’emblema di come certa commedia all’italiana attuale non riesca ad elevarsi e che il passato (che se lo mettano in testa) è passato. Si sa che esistono due Italie: quella onesta che lavora e che fatica, coi piedi per terra e quella furba e disonesta, dagli entusiasmi facili e dal fascino indiscreto per i dittatori e per l’effimero. Entrambe dall’ambiguo appeal cinematografaro. Giovanni Veronesi ha tentato di raccontare trentacinque anni di storia d’Italia attraverso gli occhi (e il cambio di pettinature) dell’italiano buono (alla prima maniera per intenderci), sano, attaccato ai valori della famiglia e romanesco (che palle!). La coppia di protagonisti Ernesto e Angelina commenta l’Italia e i suoi avvenimenti più significativi guardando la tele in camera da letto. Come molte famiglie italiane. Ernesto è nato sotto il segno della modestia, della perplessità, definito dal padre “ultima ruota del carro”, vive il nostro paese tra la morte di Aldo Moro, i Mondiali del ’82, il rampantismo craxiano, la febbre berlusconiana per finire su un cumulo di monnezza alla ricerca di un gratta e vinci milionario cestinato. Ecco come ci siamo ridotti, ma la morale ca(t)to(dico)familista vince sempre. Ugo Chiti e Veronesi non sono mai stati Age & Scarpelli e neanche Benvenuti e De Bernardi. Men che mai ora. Alessandro Haber, nei panni di un pittore simil Mario Schifano, ad un certo punto dice che Ernesto vestito in giacca e cravatta sa di falso, di non autentico. E’ anche una dichiarazione spontanea sul film: anemico, smorto, senza nerbo e a cui manca l’amalgama. Il Presidente del Catania Calcio degli anni ottanta Massimino era convinto di poterlo acquistare (!), Veronesi invece non l’ha mai posseduto. Carmelo Bene da un Costanzo Show diceva che chi ha talento fa quello che vuole e chi ha il genio fa quello che può. Altra citazione dotta inserita nel film, sia l’uno che l’altro non si addicono al regista toscano. Elio Germano e Alessandra Mastronardi sono così carucci e bravi, purtroppo non sono né Nino Manfredi né Stefania Sandrelli. D’altronde non è colpa loro se il copione (da prendere alla lettera) rimanda a Scola e altri nomi impronunciabili della gloriosa commedia all’italiana che fu. Qui albergano solo piccoli quadretti posticci in totale assenza di satira di costume basilare. Qualche battuta va a buon segno, specie in bocca a Ricky Memphis ma tutto il resto sa di insipido o di patetico. Sprecati Haber e Sergio Rubini, fuori parte gli imitatori televisivi Virginia Raffaele e Ubaldo Pantani. Nuovi Manuali d’amore e vecchi Pieraccioni attendono il perseverante fratello di Sandro V.

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