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L'ultima ruota del carro

Regia di Giovanni Veronesi vedi scheda film

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La recensione su L'ultima ruota del carro

di scapigliato
8 stelle

Presentato come la vita normale di un uomo normale, L’Ultima Ruota del Carro è il romanzo popolare dell’Italia di oggi presa all’origine della decadenza. Ho sempre pensato che l’annus horribilis del Bel Paese fosse quel nemmeno poi così lontano 1978 – Aldo Moro, Papa Roncalli, Papa Wojtyla e soprattutto la morte di Pasolini che è stata anche la morte culturale di un paese – dopo il quale nulla è più stato lo stesso. Il cinema e la cultura degli anni ’80 hanno sì avuto pregi e difetti, ma si sono progressivamente allontanati dallo splendore anarchico, propositivo, curioso, critico e satirico dei decenni precedenti. La politica, soprattutto, negli anni della Milano da bere passa dal prolungamento democristiano del pensiero gattopardesco al taglio clientelare, economico e aziendale della politica socialista. Insomma, l’Italia si imborghesisce realmente non durante il boom, ma negli anni della televisione privata, della politica on demand, degli amici degli amici degli amici, nell’Italia delle tangenti, della costruzione selvaggia, dei condoni, dei prestanome, nell’Italia dei primi dissapori tra pubblico e privato e nell’Italia della prostituzione come via di successo.

Il più bel film di Giovanni Veronesi riesce con un linguaggio sobrio, morbido, lontano anni luce dalla sincope estetica della commediola italiota nata nei ’90, fatta di sketches non propriamente ridicoli – si salva solo quello di Boldi e De Sica nella doccia in Vacanze Di Natale ’95 (1995) – e solo scialbamente giustapposti uno dietro l’altro, a raccontare con modulazioni alte e basse, comiche e gravi, leggere e drammatiche la vita semplice dell’italiano medio senza più prenderlo in esame come tipo. Non c’è macchiettismo, non c’è simbolismo, non è una commedia dei caratteri, non c’è Sordi che fa il qualunquista, il borghese, il vigile, il vedovo, eccetera, ma c’è un personaggio romanzesco. Cioè problematico.

Elio Germano compie un nuovo miracolo. Pettinatura improponibile, l’attore romano – molisani sono i genitori – dà vita nuovamente a un romanaccio di razza come aveva già fatto altrove, uno di quelli col “core”. Resa impressionista, Germano riesce con varie pennellate, da quelle pesanti e quasi caricaturali a quelle leggere e silenziose di una performance sottrattiva che di natura non gli appartiene, a dare corpo, soprattutto corpo, a un’idea di tipizzazione che supera così i limiti della macchietta e diventa romanzo.

Se con le sue smorfie e la sua sensibile bravura Elio Germano aiuta il film a non inciampare nel pathos delle svolte narrative dolenti e nel quadretto stereotipato della vita domestica all’italiana, Ricky Memphis è trascinante e incontenibile. Nel ruolo che fa una carriera, Riccardo Fortunati sa contenere l’esuberanza gigionesca e comanda sapiente i tempi comici. Irresistibile.

I due attori formano una coppia sì insolita, ma meglio riuscita di quella proposta con Mastandrea in Padroni di Casa (2012). Il loro affiatamento ricorda quella con Scamarcio in Mio Fratello è Figlio Unico (2007) e ha l’empatia che aveva la coppia Germano/Riondino in Il Passato è una Terra Straniera (2008) e non il freddo distacco di quella Germano/Timi di Come Dio Comanda (2008). A loro va aggiunto l’apporto notevole di Alessandro Haber che, in quello che sembra essere il protagonista silente dell’intera vicenda, innerva di un afflato filosofico le piccole storie personali di Elio Germano, dando spessore culturale e un’anima etica al mondo fatto di soldi, mazzette e puttane che si va a delineare intorno al protagonista. Così come la candida Alessandra Mastronardi ingentilisce il mondo burbero e a volte piccolo, molto piccolo, del triste maschio italiano di cui Germano sta tracciando un percorso intelligente e coerente fin da Liberi (2003).

Una nota cattiva è permessa. Chissà perché gli unici film italiani che piacciono a pubblico e critica e sono applauditi ai festival sono sempre quei film in cui gli elementi principali sono il grande affresco famigliare romanzato da tensioni, passioni e grandi slanci emotivi e l’ambientazione storica in un recente passato come quello dei ’60, ’70 e ’80. Che finalmente e purtroppo l’Italia abbia compreso che gli ultimi vent’anni l’hanno uccisa e mortificata? Il monologo di Memphis su Berlusconi ha il sapore della tragicommedia.

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