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L'ultima ruota del carro

Regia di Giovanni Veronesi vedi scheda film

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La recensione su L'ultima ruota del carro

di GIANNISV66
4 stelle

La metafora dei tempi nostri è racchiusa in una discarica dove un povero disgraziato cerca disperatamente e vanamente un oggetto che avrebbe potuto rappresentare la via per una nuova vita e per un benessere agognato, per rendersi conto alla fine che la felicità era già sulla soglia di casa.
Volendo ci si potrebbe leggere una rappresentazione di quello che è diventato il nostro paese negli ultimi anni, un caotico e maleodorante ammasso di rifiuti, non solo di quelli materiali, ma anche e soprattutto di quelli morali, un disfacimento senza rimedio alcuno se non il ritrovare la propria identità più genuina e il riaffidarsi ai vecchi valori.

Non mancano le buone idee in questo L'ultima ruota del carro, quello che manca è purtroppo tutto il resto.
A cominciare da una sceneggiatura superficiale, per proseguire con un regista che dimostra tutti i limiti già palesati nei precedenti lavori e finendo con gli attori che non sembrano al loro meglio, fatta eccezione per Alessandro Haber nel ruolo di uno strampalato pittore che nella sua follia sembra l'unico in grado di inquadrare nei parametri corretti i cambiamenti attraverso cui passa il protagonista.
L'ambizioso obiettivo della pellicola è quella di raccontare quarant'anni di storia italiana attraverso gli occhi di un uomo ingenuo ed onesto, uno dei tanti che si sudano la pagnotta. Ma le ambizioni muoiono sul nascere, i personaggi mancano di approfondimento psicologico così come le vicende in cui sono coinvolti i protagonisti vengono raccontate in maniera approssimativa.
Ernesto Marchetti (Elio Germano, in un ruolo per cui non passerà alla storia) sembra più una parodia di Forrest Gump che la rappresentazione dell'italiano medio, le cose gli scivolano addosso senza scalfirlo se non marginalmente, aggrappato alle certezza della famiglia, della Roma (quella giallorossa) e di un migliore amico che appare e scompare e che dovrebbe rappresentare l'italiano furbo, quello che si barcamena a un millimetro dall'illegalità (e spesso e volentieri superandone il labile confine).
Si vorrebbe parlare di cose importanti in questo film , dell'Italietta rampante e arraffona degli anni '80, di quella indignata dell'epoca di mani pulite, di corruzione, concorsi taroccati, del malaffare di un paese che ha spesso collocato le persone sbagliate nel posto sbagliato (l'episodio del posto di cuoco alla scuola materna dovrebbe essere emblematico) e persino di malasanità (incarnata in una dottoressa incompetente e arrogante che sbaglia clamorosamente una diagnosi su una malattia che andava tratta con ben altra delicatezza), ma lo si fa in maniera superficiale, mai approfondita, sempre macchiettistica.

Giovanni Veronesi
in questo film palesa tutte le sue ambizioni autoriali, lo si nota dal fatto che rifugge dalla facile battuta (e infatti si ridacchia ma non si ride mai di gusto.....neanche questo, verrebbe da dire!)
e cerca in alcune situazioni di coinvolgere lo spettatore sul piano emotivo, ma tutto resta nella sfera delle buone intenzioni. Non è, purtroppo per lui, né Ettore Scola e neanche Marco Tullio Giordana e qui siamo lontani anni luce da lavori che hanno parlato della più o meno recente storia italiana come l'immortale C'eravamo tanto amati o il bellissimo La meglio gioventù.
Né riescono a salvare questa pellicola gli attori: Elio Germano sembra involuto rispetto ai suoi lavori precedenti, Alessandra Mastronardi recita come in una fiction televisiva, Ricky Memphis nel ruolo dell'arraffone sempre pronto a vendersi al nuovo “padrone del vapore” pare interpretare la parodia di se stesso.
Alla fine fanno miglior figura Sergio Rubini e Virginia Raffaele nei panni rispettivamente di un disonesto e pacchiano imprenditore di area socialista-craxiana e della sua rampantissima segretaria (fashion, mondana e anche un po' zoccola).
Due stelle giusto per premiare l'impegno, e anche per quel finale che ho trovato tutto sommato la cosa migliore di questo film.

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