Trama
Ernesto (Elio Germano) comincia a far l'autista di camion durante gli anni Sessanta. Occupandosi di trasporti, gira l'Italia in lungo e in largo, incontra gente di vario tipo e vive esperienze tragicomiche sullo sfondo dei cambiamenti socioculturali del paese. Dalle prime televisioni in bianco e nero all'avvento di Berlusconi in politica, Ernesto attraverso il finestrino del suo mezzo è testimone di quarant'anni di scandali, malaffare, sogni e speranze, rimanendo fedele alla moglie Angela (Alessandra Mastronardi), all'amico Giacinto (Ricky Memphis) e ai propri ideali.
Approfondimento
L'ULTIMA RUOTA DEL CARRO: QUARANT'ANNI DI STORIA ITALIANA ATTRAVERSO UN UOMO COMUNE
Diretto da Giovanni Veronesi, L'ultima ruota del carro racconta gli eventi che hanno caratterizzato la storia dell'Italia a partire dagli anni Settanta del Novecento attraverso la storia di un uomo comune, dei suoi vari mestieri e delle sue vicende personali. Protagonista è il personaggio di Ernesto Marchetti, un mite autista di camion ispirato alla vera figura di Ernesto Fioretti, amico del regista. A spiegare la scelta di rendere Fioretti il fulcro di L'ultima ruota del carro è lo stesso Giovanni Veronesi, in occasione della presentazione del film fuori concorso al Festival di Roma 2013: «Conoscevo da diversi anni Ernesto Fioretti, un autista di produzione romano poco più che sessantenne di cui nel tempo sono diventato amico, ma non avrei mai pensato che un giorno mi sarei ritrovato a raccontare in un film la sua vita più che movimentata. Tutto è nato quando un giorno, mentre uscivamo da un autogrill reduci da un pranzo non esaltante, Ernesto mi ha detto: «abbiamo mangiato peggio di quando facevo il cuoco d’asilo...». E io: «in che senso? raccontami... ». E così, andando avanti e indietro nel tempo come in una sceneggiatura di Harold Pinter, ha iniziato a descrivermi la sua esistenza ricca di eventi grandi e piccoli, collettivi e privati, spesso ai limiti dell’incredibile, da lui vissuti come testimone privilegiato, facendo diversi mestieri, primo tra tutti l’autotrasportatore. Attraverso i suoi racconti ho visto passare davanti agli occhi quasi quaranta anni di storia italiana e ho pensato subito che, nascosta dietro quell’uomo così candido e discreto, ci fosse una vicenda umana sorprendente per le tante casualità e coincidenze che l’hanno caratterizzata. Una vita così meritava di essere subito portata al cinema!
Quello che mi ha fatto scattare la molla, la voglia di fare di Ernesto il protagonista di una storia, è il fatto che lui sia rimasto uguale a se stesso. Tutto quello che si vede nel film è vero al 90%. Raccontando in chiave di commedia corale la sua vera vita, il nostro è stato un lavoro d’assemblaggio, di riassestamento cronologico di suoi ricordi ed aneddoti di vita reale. È un film dalla parte degli ultimi: quando si racconta l’esistenza di una persona bisogna essere rigorosi, non si può mancare di rispetto ai diretti interessati. Mi è capitato di raccontare episodi molto divertenti, ma anche eventi drammatici: la vita di Ernesto Fioretti è la sua e la rispetto. In L'ultima ruota del carro l’ho mostrato in scena nei panni di un mite autista di camion, (ribattezzato Ernesto Marchetti e interpretato da un formidabile Elio Germano), che per quarant’anni ha girato tutta l’Italia: attraverso il suo sguardo privilegiato sulle avventure tragicomiche e sugli episodi incredibili di cui lui è stato protagonista e testimone, abbiamo avuto la rara opportunità di portare in scena anche la storia recente del nostro Paese, rendendoci conto però che l’unico modo per raccontare la nostra società degli ultimi decenni era lasciarla come cornice e sfondo della vita di un uomo comune, di una persona normale. Nato in una famiglia patriarcale romana, Ernesto cresce coltivando i desideri di ogni ragazzino degli anni 60: sposarsi, avere una vita felice e magari un mestiere già avviato come quello del padre - che fa il tappezziere. Ma gli imprevisti e gli amici (primo tra tutti il più che intraprendente Giacinto, interpretato da Ricky Memphis) lo costringeranno invece a vivere catapultato in una realtà che non gli appartiene. Subirà il proprio destino, ma rimarrà sempre e comunque un uomo onesto, un soldato semplice fedele ai propri principi e a sua moglie Angela (Alessandra Mastronardi). La loro storia sentimentale è un altro dei pilastri fondamentali di questa vicenda: peraltro - ci tengo molto a dirlo - è il primo film della mia vita dove nessuno si fa le corna, perché la vera protagonista è l’onestà. Ernesto riesce a dribblare tutte le occasioni che la vita gli offre per essere disonesto e per approfittare degli altri. Il tutto viene raccontato con molta leggerezza, senza mai avere l’ambizione di raccontare un pezzo di Storia, che fatalmente scorre alle spalle di questo personaggio piccolo e apparentemente insignificante. Quella di Ernesto è la storia di un soldato semplice che ha vinto la sua guerra personale rimanendo integro e coerente con i propri principi, passando attraverso quelli che sono stati forse gli anni più corrotti del nostro Paese. Anni difficili di devastazione etico-morale, corruzione, microcriminalità, evasione, malasanità che ci hanno contaminati tutti. Ernesto invece li ha attraversati indenne, e mi sembrava giusto rendergli omaggio perché rappresenta l’eccezione e l’antidoto, incarna quella normalità e quella lealtà venuta a mancare mentre tutti noi ci siamo impantanati e questo lo porta ad essere una mosca bianca e quindi un protagonista.
Le varie persone che affiancano Ernesto in scena sono tutte ispirate a modelli reali: Giacinto (Ricky Memphis), il suo amico più caro, è una presenza fondamentale al fianco di Ernesto: lo accompagna nell’arco di tutta la vita e rappresenta l’italiano medio voltagabbana, che sfrutta tutte le occasioni che gli capitano a tiro e cambia bandiera politica a seconda del vento. Tra i due nasceranno contrasti anche molto duri, ma alla fine essendo la loro amicizia radicata fin dall’infanzia, i due non si perderanno mai di vista.
Sua moglie Angela, interpretata da Alessandra Mastronardi, lo segue come una specie di devota e silenziosa compagna di strada, e si rivelerà significativa e decisiva per le sue scelte. Il Maestro, un pittore di fama internazionale interpretato da Alessandro Haber [le opere realizzate dal personaggio sono firmate da Mimmo Paladino] è un personaggio tipicamente rappresentativo degli anni’80-90, con quella sorta di maledizione addosso che portavano con loro gli artisti della Scuola romana. Con lui nasce un rapporto particolarmente amichevole, all’insegna della fiducia reciproca: Ernesto diventa il suo trasportatore ufficiale, ed entra nelle case più belle del Paese incontrando una moltitudine di persone a cui non sarebbe mai approdato nella sua vita di quartiere. Sergio Rubini dà vita invece ad un tipico politico socialista senza scrupoli dell’epoca: opportunista, cinico e spietato con se stesso e con gli altri, e soprattutto poco imparentabile a quel tipo di socialismo ideale alla Pertini di cui tutti andavamo fieri in passato. Virginia Raffaele incarna poi una sorta di prodromo di quelle donne senza scrupoli a cui, negli anni successivi, non erano più sufficienti i calciatori per arrivare e sentirsi realizzate. La novità è che si tratta di una donna moderna, arrivista e spietata, che si è evoluta e smania non più per stare accanto agli uomini di potere, ma per esercitarlo direttamente: è come se avessi dipinto una delle prime figure femminili abilissime ad industriarsi per ottenere tutto e subito quello che volevano all’interno della politica. Ubaldo Pantani interpreta il toscano, l’amico balordo che tutti noi abbiamo avuto, il nostro specchio negativo, quello che avremmo potuto diventare se fossimo stati meno accorti. Ma alla fine, della nostra storia, inaspettatamente, sarà proprio il toscano che abbiamo visto solo e sempre ai margini della vita ad offrire generosamente del lavoro ad Ernesto e a sua moglie, ormai anziani, come comparse sul set di una fiction tv. Questo rende, spero, il nostro film una commedia vicina a quelle – inarrivabili - di Risi, Monicelli e Scola, a cui mi sono sempre ispirato, dove era all’ordine del giorno l’umiliazione delle persone umili da parte del’arroganza del potere. Mi piace l’idea che il riscatto di certi personaggi sia disperato, che non porti ad una vera svolta nella vita: nel film, ad esempio, Ernesto viene coinvolto direttamente in un episodio di malasanità, rimanendo vittima di una diagnosi sbagliata. L’unico riscatto che riesce a prendersi è quello di mandare al diavolo la dottoressa che lo aveva profondamente ferito».
Note
"L’ultima ruota del carro" è un film ambizioso, pieno di riferimenti alla nostra nobile commedia che però non evita le trappole del macchiettismo più banale, dal quale si salva solo il personaggio di Haber, meno prevedibile. La storia italiana dagli anni affollati in poi passa attraverso i più beceri colpi bassi catodici ma tutto appare didascalico e posticcio come i manifesti di Berlusconi e le macchine d’epoca in giro per le strade, mai viste così lucide e perfette. Della lunga sequenza della diagnosi sbagliata si cerca sbalorditi un senso, temiamo vanamente.
Trailer
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Commenti (8) vedi tutti
Film a tratti intenso, costantemente velato di tristezza, quasi a sottolineare le vicende del nostro povero Paese, tra speranza, incapacità e sfortuna. Purtroppo anche in questi rari casi di buon cinema, quello italiano resta inesportabile. Voto 6.
commento di ezzo24Lo vidi anni fa e ne conservo un ricordo piacevole. Secondo me merita di più del 5 e mezzo che vedo che ha al momento come media
commento di komediavolomidevokiamarePregi e difetti,direi sufficiente...ma nulla di più.
leggi la recensione completa di ezioSono d'accordo con il commento di Film.Tv. Il film punta in alto, ma poi si impiglia in certi stereotipi squallidini. Mi tocca dare il voto 5, un po' a malincuore.
commento di putrellaIo darei 5 stelle, ovvero 10, cioè il massimo, anche se il film mi è piaciuto, mi ha commosso, divertito, solo se la storia, la sceneggiatura, la recitazione, la musica, la fotografia, la regia di questo film siano ai massimi livelli. E qui proprio non mi pare il caso.
commento di marco biBello, vero..un po' triste ma anche divertente
commento di DelfinoDelfinoLa storia d’Italia scorre sullo sfondo attraverso la televisione, ma non ci si sente dentro. Se non fosse per le discutibili acconciature e le auto non si coglierebbe l’epoca. Bravo Germano, bravi i suoi truccatori. Se ci fosse un filtro per la voce l’invecchiamento dei personaggi sarebbe perfetto.
commento di PasquinoBuona commedia di costume del regista Veronesi, con Elio Germano in gran forma.
leggi la recensione completa di Furetto60