Regia di Anton Corbijn vedi scheda film
Per me, questo è stato un film di conferme. Conferma del fatto che la morte di Philip Seymour Hoffman è stata una grande perdita per il cinema. Conferma del marchio di garanzia assicurato da una sceneggiatura che attinge da un romanzo di John le Carré. Conferma della bravura recitativa e dalla straordinaria espressività di Willem Dafoe, granitico volto votato a grandi prestazioni. Conferma dell’immediata empatia provocata da Nina Hoss, indimenticabile protagonista del notevole “La scelta di Barbara” di Christian Petzold (2012), qui purtroppo relegata ad un ruolo minore, nel quale riesce comunque a brillare. Conferma della superiorità da tempo acquisita del cinema europeo su quello americano in generi quali lo spionaggio, il thriller e i film d’azione. Non sono un appassionato di film di spionaggio, spesso penalizzati da trame complicatissime e sceneggiature contorte. Qui, invece, siamo in presenza di un’architettura narrativa complessa ma lineare quanto appassionante e ricca di colpi di scena. Il crescendo drammatico è inarrestabile, Philip Seymour Hoffman incarna un antieroe degno dei migliori Humphrey Bogart, Alain Delon o Gene Hackman, per citare i primi che mi vengono in mente. La città di Amburgo è rappresentata in una luce dorata ma cupa, un porto estraneo alla dimensione umana, un crocicchio di vicende lontane anni luce dalla vita del cittadino qualunque. Ne scaturisce un fascino avvolgente che cattura lo spettatore dal primo all’ultimo fotogramma.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta