Regia di Anton Corbijn vedi scheda film
Agente del controspionaggio tedesco di stanza ad Amburgo, nel tentativo di sventare i piani segreti di un facoltoso ed insospettabile finanziatore di un'organizzazione terroristica legata ad Al Queida, non esita a manipolare e strumentalizzare l'accordo tra un giovane rifugiato ceceno, il banchiere che dovrebbe liquidarne l'eredità ed una graziosa militante di un'organizzazione per i diritti civili incaricata di curarne gli interessi. Quello che non sa e che tanto la CIA qunato l'intelligence tedesca hanno messo gli occhi su entrambi i suoi obiettivi.
Oltre al suo interesse per la fotografia e la musica, il non più giovane regista olandese Anton Corbijn pare mostrare nella sua breve e ancorchè recente carriera cinematografica, una predilezione per le spy-story tratte da best sellers letterari in cui la mano lunga del governo americano sembra sopperire alla mancanza di autorevolezza di paesi europei (in 'The American' l'Italia, qui la Germania) defraudati di fatto dalla loro sovranità territoriale e ridotti a terreno di uno scontro per bande delle varie anime della lotta al terrore internazionale.
Se lo scenario per questo impianto narrativo abbastanza classico ricalca fedelmente l'acuto realismo del modello di riferimento del grande autore britannico (ed ex 'spione' di Sua Maestà) John le Carré, Corbijn sembra trovarne una sua personale e misurata declinazione in un thriller che mantiene il ritmo al di sotto di una allarmante linea di guardia, per spostare con inesorabile lentezza la sua attenzione dalle dinamiche di un plot che sembra mirare al cerchio (la lotta al terrore nel rispetto dei diritti civili) senza pensare alla botte (la lotta al terrore senza prigionieri) alle caratterizzazioni 'emotive' e tormentate dei suoi personaggi (uno specialista del settore destinato all'esilio forzato, un terrorista ceceno idealista e romantico, una avvocatessa sprovveduta e avvenente, un banchiere con le mani in pasta, una ineffabile doppiogiochista CIA,etc.). Tutti argomenti che lo spettatore più paziente riesce facilmente ad apprezzare anche a dispetto di un andamento abbastanza soporifero che pare ravvivarsi solo nella tentata fuga dei due giovani protagonisti (bella lei e sbarbato lui) per rientrare subito nei ranghi di un accordo tra le parti che non ha fatto i conti con l'oste.
Resta certo il senso di una bella ambientazione 'oltrecortina' che sembra assoldare all'uopo le facce giuste tanto sul versante teutonico (il Daniel Brühl di 'Goodbye Lenin!' e la Nina Hoss de 'la scelta di Barbara') quanto su quello americano (la Rachel McAdams di 'state of Play' e d il Philip Seymour Hoffman de 'Il talento di Mr. Ripley') ed una retorica sottotraccia del rapporto padre-figlio che vale quale paradigma etico di uno stato di subornazione delle relazioni internazionali dove le colpe dei primi finiscono inevitabilmente per ricadere su questi ultimi e dove non sembra esserci spazio per l'etica ed i buoni sentimenti.
Meccanismo cinematografico non proprio perfetto (alcuni personaggi e situazioni rimangono sospese ed irrisolte), sembra puntare tutto sulla fisicità ingombrante e carismatica del tarchiato Seymour Hoffman che lo attraversa sornione e dolente, e che vale quale inconsapevole testamento artistico per l'ennesimo cavallo di razza dell'industria hollywoodiana destinato al tragico epilogo di una folle corsa per il successo che lo attenderà di lì a breve.
Presentato al Sundance Film Festival 2014.
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