Regia di Jan Ole Gerster vedi scheda film
Davvero un bel film. Quel che colpisce è lo spaesamento esistenziale del giovane protagonista, immerso in un bianco e nero in cui la storia del dodicennio nero viene sospesa per far risaltare l'apparente movimento del post-moderno berlinse, che nasconde nel nichilismo dell'indifferenza le sue ferite ancora aperte. Il giovane, nella sua indolenza, è trascinato passivamente in situazioni di contrattempo, che lo rendono via via sempre più estraneo a se stesso e consapevole dell'assenza di senso, rivalatagli alla fine dall'incontro casuale con un vecchio, che è stato lontano da Berlino per ben 60 anni, e che si sente sbarrato dal linguaggio del presente, che confessa di non poter più comprendere. Dopo quell'incontro, il protagonista potrà bere il suo caffè, ma con la coscienza della suo estraniamento, unica consolazione che ancora gli rimane in un mondo dove tutti si parlano addosso reificati nel presente, senza più ascoltare la storicità, che svanisce per esaurimento di testimonianza, e senza la quale proprio i giovani sono i primi a cadere...
Quando nessuno è più colpevole, non si è più neanche autorizzati a dire il nome di chi muore.
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