Regia di Antonio Morabito vedi scheda film
Il secondo film di Antonio Morabito, arrivato nelle sale a dieci anni dai registri dissacranti e grotteschi da cinema ultra low-cost di Cecilia, comincia con un'antologia di quella pagina sordida della cronaca che ci riporta i casi di truffe e speculazioni da parte di case farmaceutiche senza scrupoli e medici compiacenti che, in cambio di lussuosi gadget - dal convegno con amante nella località esclusiva alla collezione di video porno - traffica sulla salute delle persone prescrivendo farmaci con pericolosissimi effetti collaterali. Poi cavalca il tema della crisi che agevola facili tagli di personale senza alcun peso sulla coscienza, passando in cavalleria anche un eventuale suicidio. In una situazione del genere può allora capitare che uno come Bruno (Santamaria, molto in parte), rampante informatore medico romano con indole torva da autentico piazzista sul quale grava la minaccia del licenziamento, possa passare dalla corruzione al ricatto, in una deriva senza rete che nel suo delirio solipsistico lo porta anche a imbottire la moglie (Ciri) di anticoncezionali a insaputa della stessa donna che invece vorrebbe quell'intralcio alla carriera di Bruno che si chiama figlio.
Antonio Morabito torna al lungometraggio di finzione con un film-pamphlet da cinema civile che, pur inciampando su qualche luogo comune e qualche personaggio stereotipato e rasentando a tratti il bigino dello svilimento etico della nostra civiltà, ha il merito di non scegliere la strada del racconto didascalico, ma di mettere in scena quello stesso schifo che, per altri versi e con altro registro, si era visto ne Il medico della mutua e, soprattutto, in Bisturi: la mafia bianca, attraverso il prisma dell'esistenza affannata del protagonista, costretto a sedare le sue ansie a suon di neurolettici.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta