Regia di Antonio Morabito vedi scheda film
Il venditore di medicine è una figura che vediamo spesso di profilo, alla scrivania del dottore che baratta la pillola col congresso newyorkese e al tavolo della mensa dove la capoarea rimarca impietosa i segni della stanchezza. I tempi non consentono di fermarsi, e Claudio Santamaria nel suo completo inamidato suda la crisi di un’umanità mandata al macero dal profitto. Avanti e indietro nei corridoi lividi degli ospedali, seguito e preceduto da carrelli che in linea retta restituiscono la perdita dell’equilibrio morale, affettivo, psichico: diventare un mostro è facile quanto sbatterlo in prima pagina, invece Antonio Morabito svicola dal film-inchiesta e sceglie la strada poco battuta del dramma. Nervoso, claustrofobico, nero. A doppia corsia, nell’auto dell’informatore farmaceutico corroso dal sistema e nella sala riunioni dove una Isabella Ferrari gelida urlatrice cura i cali delle vendite col regime del terrore. La vicenda personale e lo scandalo globale seguono la curva discendente verso un inferno senza scampo, stagliandosi su un panorama urbano che smarrisce ogni connotazione geografica e ci cala nel labirintico abisso di una città-macchina a misura d’uomo-pedina. La dissoluzione del protagonista sfocia in orrori domestici da far accapponare la pelle, il thriller privato viaggia a doppia velocità rispetto al contesto in uno straniamento progressivo, programmatico eppure tesissimo e persino atroce. Resta intatto il coraggio raro di una visione lucidamente disperata.
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