Regia di Adrian Saba vedi scheda film
Un contagio. La morte sopraggiunge rapida dopo che lancinanti dolori al petto colgono di sorpresa le vittime predestinate. Una veloce ma dolorosa agonia che semina morte nella città, nell'intero paese, forse nel mondo intero. Eusebio gira i quartieri ormai deserti ripulendo con cura le tracce dei decessi dei contagiati: armato di tuta bianca che lo isola e protegge, svolge con metodicita' e criterio il proprio incarico che lo impegna vieppiù, dato che il contagio non accenna a diminuire. Poi la sera, con puntuale ricorrenza, rientra a casa, lancia la chiave sullo sgabello senza centrare il bersaglio, si disinfetta con cura, si lava e cena. Sempre solo e silenzioso, quasi fosse privo di sentimenti ed emozioni. Un giorno, durante una missione come tante, in un appartamento di una donna appena deceduta trova un bambino nascosto in un armadio. E' il figlio gerrorizzato della defunta. Cerca di affidarlo ai centri sociali, ma invano, dato che tutti gli enti di accoglienza sono allo stremo per la situazione di estrema urgenza che impegna ormai tutte le organizzazioni medico-sanitarie. Eusebio allora non puo' far altro che portare il bambino con se', come jn pacco inanimato, dato che la sua freddezza non lascia trasparire, almeno all'inizio, nessuna possibilità di contatto. Tuttavia col tempo e nella disperata ricerca di un parente del piccolo, una via di timido approccio dopo un po' viene tracciata ed il solco dell'amicizia e del rispetto, dell'intesa e della protezione da una parte, che corrisponde alla fine della solitudine dall'altra, diventa un segno indelebile ed insostituibile. "Il pulitore" è una straordinaria opera prima peruviana che inquieta e nello stesso tempo trova il tempo e lo spazio per intenerire con una complicità che scalda proprio laddove l'impossibilità di proseguire con i contatti per scongiurare l'estinzione della specie, ne impedirebbe ogni fattibilità. Un'amicizia che fatica a farsi avanti , ma che risulterà un percorso di maturazione non solo per il bambino, bensì ancbe per il taciturno ed asociale Eusebio, ometto inequivocabilmente insignificante ed apparentemente sterile come l'armamentario che si porta appreso per cancellare le tracce di una moria senza fine. A metà strada tra l'incubo metropolitano e la favola fantascientifica che cede al sentimento, il film sceglie la strada della semplicità e dell'asciuttezza nel riprendere quartieri deserti dove le geometrie fredde ed asettiche del cemento e dell'acciaio mostrano tutta la loro artificiosita' ed inutilita' qualora venga a mancare il soggetto che le ha rese possibili e necessarie e dove uno sfondo marino che delimita un litorale deserto ma circodato da torri e grattacieli una volta abitati e alveari di vita, non riesce a comunicare quel senso di esistenza e prosecuzione della specie che la natura prima di allora era in grado di provocare. Un film sulla fine: di una specie, di un genere di vita, di un ciclo vitale. Un film che, anche certamente per ragioni di budget, punta sulla semplicità e sull'atmosfera da incubo, più che sul far vedere, sul mostrare i segni della catastrofe. Una circostanza che si rivela vincente e che rende l'opera una favola da incubo, tenera e terrificante, di certo riuscita, toccante e indimenticabile.
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