Regia di Kleber Mendonça Filho vedi scheda film
Un film che racconta il Brasile meno raccontato, quello lontano dalle storie di favelas o delle grande metropoli del paese sudamericano. E' un Brasile, quello dell'esordiente (sulla lunga distanza) Mendonça, in cui la violenza rimane sotto traccia, lambisce appena una strada di Recife, in un quartiere per ricchi. Dentro questi enormi condomini, bianchi e labirintici, si muove una civiltà fatta di esistenze impaurite e solitarie, in cui quasi ogni rapporto sociale è allo sfascio e che affida la propria sicurezza a delle guardie private. Scisso in tre archi temporali precisi, il film si muove lentamente, scrutando nelle vite di queste persone, intrecciandole e restituendo un quadro d'insieme che ha motivi di tenerezza, soprattutto nei volti dei bambini, ancora più soli e perduti dei genitori, e ha segni di una tremenda inquietudine, evocata, a volte, attraverso i sogni dei protagonisti e dai suoni della natura o degli oggetti, come provenissero dal ventre di un'enorme macchina di una fabbrica. Il regista, già pluripremiato per i suoi lavori sui cortometraggi, muove la camera splendidamente, dando al film una forza straordinaria, lasciando che la sua apparente immobilità in realtà pulsi di parecchia vita, tensione, sensualità e paranoia. Tutto pare ineluttabile e così, in fondo, sarà. Gli attori sono magnifici, tutto è molto credibile e anche se necessiterebbe di conoscere a fondo la realtà del nord est del Brasile, la visione regge per tutte le due ore e oltre. Un esordio molto promettente e un film da recuperare.
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