Regia di Kleber Mendonça Filho vedi scheda film
Non aspettatevi favelas, come pure orgogliosamente asserisce uno dei protagonisti. Non c’è la rappresentazione della povertà ne Il suono intorno del brasiliano Kleber Mendonça Filho; piuttosto irrompe un grido di dolore soffocato che percorre diverse, parallele, come specchiate l’una nell’altra, disperazioni urbane. Il filo rosso che le attraversa, nella loro ovattata e un po’ fasulla serenità, nella iterazione di gesti e piccole noie (un cane che abbia troppo, un’amicizia sessuale che si trascina anche essa un po’ casuale, i piccoli furti e le passate indicibili dominazioni territoriali), è la ricerca di una sicurezza fisica che faccia da schermo o da apripista a quella interiore. La banda di modesti ras di quartiere, che organizza inoffensive ronde, e che anzi mette su un volantinaggio porta a porta per magnificare le minuscole sorti e progressive dei propri servigi, è allora il pretesto che il regista utilizza per miniaturizzare le contraddizioni e gli scarti quotidiani di una vita perduta in una cinta urbana apparentemente placida, ma come intirizzita da piccole deviazioni nei territori dell’illegalità.
Sono vicende che paiono non doversi incontrare mai, ognuna portatrice dei valori di un microcosmo alieno a quello degli altri, eppure ad esso profondamente simile. La frustrazione di una agiata donna di casa, la ricerca della ricostruzione di una vita di coppia, gli sgarri ed i relativi panni che, letteralmente, è preferibile lavare in famiglia, il boss chiuso in un castello eburneo senza cattiveria che non sia quella che l’ombra del passato proietta . Questa è la Recife del regista, questo è uno spicchio di Brasile osservato senza degnazione, né particolare colore, ma con una accuratezza molto algida che è, insieme, il punto di forza e di debolezza dell’opera. Punto di forza in quanto il regista evita gli affanni della retorica (da sempre appannaggio triste e un po’ cartolinesco di una certa visione pregiudiziale del Brasile): punto di debolezza poiché, nel tentativo di rappresentare le poche cose che i personaggi hanno da dire (e da fare), Mendonça Filho sembra alle volte come trattenuto, incapace di estendere le fila del discorso oltre lo steccato di una ammirevole figurazione iconografica.
Il suono intorno è tuttavia consigliabile, nella sua valenza di gelido documentario sull’attuale Brasile metropolitano. Nè poteva essere altrimenti, visto il passato del regista, qui al primo esperimento in lungometraggio. Le premesse sono decisamente buone: depurata dalla ricordata e forse eccessiva secchezza dello sguardo, amabilmente percorsa da un suono che è del tutto esogeno alla sceneggiatura, e dunque in grado di riportare con esattezza alle vibrazioni urbane di giornate e riti quotidiani, la pellicola riluce nella sua bifronte portata di film/reportage.
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