Regia di Kleber Mendonça Filho vedi scheda film
A Recife, capoluogo dello stato di Pernambuco: una ronda di sorveglianti autorizzati guidata da Clodoaldo (Irandhir Santos) pattuglia le strade dei condomini che hanno pagato il servizio su esempio del signorotto locale; una donna prova a dormire nonostante i latrati del cane dei vicini; due giovani vivono una storia d'amore. Intorno, la città nuova continua a soffocare quella vecchia.
Su queste basi, Kleber mendoca Filho imposta il suo primo lungometraggio, “Il suono intorno” - “O Som ao Redor”- : mostra personaggi che entrano lentamente in scena con calcolata opportunità; strade deserte; piogge che si alternano a momenti di tranquilla calura; finisce così per tessere una tela intorno al mosaico di non storie che alla fine saranno in ogni caso intrecciate dal sovrapporsi degli eventi. Rinuncia programmatica al suono extra diegetico; ricerca dell'inquadratura più efficace e non solo fine a sé stessa: sembrano, almeno in apparenza, queste le caratteristiche più sorprendenti e immediatamente codificabili del film.
In realtà, sotto una patina che appare costruita molto più di quanto non voglia sembrare spontanea (anche per effetto della sovrapposizione tra attori professionisti e non professionisti) l'opera si perde nei non detti e tarda troppo a carburare per soffermarsi su inquadrature esterne tese a mostrare la difficile convivenza del nuovo, inteso come edifici moderni, grattacieli, urbanizzazione progressiva e il vecchio, dove abitazioni alte al massimo un paio di piani accolgono bambini poveri, sbandati e rifugiati. Eppure, come si apprende dalle parole del giovane Dinho, il nipote del signorotto locale, don Francisco, non siamo in una favela. Insieme al cugino, Joao, sono entrambi eredi di una discreta fortuna: se il primo si perde in piccoli furti e fa vita da scapestrato, il secondo che ha da poco una relazione con la giovane Sofia, cura gli interessi dello zio: vende e fitta appartamenti di nuova costruzione. Questo escamotage narrativo permette di mostrare il quartiere e la sua trasformazione; proprio nell'ambito di un affitto, ad esempio, facciamo conoscenza delle superstizioni che ancora affollano i luoghi sudamericani: la donna che, puntando sull'energia negativa del fabbricato – di fronte si è suicidata una donna – vuole strappare un prezzo più basso null'altro è che l' emblema di un territorio ancora vittima del proprio passato, proprio mentre la sua giovane figlia resta sorpresa dal ragazzo povero che abita nel tugurio sottostante e che le chiede di restituirgli il pallone terminato al di là del muro. Quello stesso territorio inquinato dal feudatario odierno (Waldemar Josè Solha, il terzo attore professionista, riconoscibile per la sua folta barba bianca) che paga volentieri una ronda perché si occupi della guardianìa locale.
Pioggia e caldo si susseguono senza interruzione di continuità, in un film di fantasmi che non sanno di esserlo: così, Bia (Maeve Jinkings, attrice professionista) cerca di rimediare alla sua insonnia provando ad ammazzare il cane del vicino che latra ed è aggredita senza ragione dalla sorella Betania; madre con marito assente di due piccoli geni (che studiano il cinese, perfino e privatamente) pronti a suggerirle sempre cosa fare, si sente fuori dal proprio vissuto tanto da far uso di erba, salvo sciogliere poi la propria carica erotica scoprendo i genitali sulla lavatrice in funzione.
Proprio mentre Joao mostra a Sofia la casa che ella abitava da ragazza: quella stessa abitazione sarà presto demolita per far luogo all'ennesimo grattacielo.
Abiti fuori moda, contesti abitativi desueti, ostentazione di ricchezza: il film procede via via per accumulo ma si tradisce continuamente cercando una trama che avvolga a spirale le sue tracce segmentate in tre capitoli e su tre storie: anche scrittore, Mendoca Filho ha dichiarato di aver visto continuamente Tarantino prima e durante la lavorazione, perché ispirandovisi poteva mantenere coerente l'opera. Tuttavia, il film non ha nessun connubio con l'opera dell'autore di “Kill Bill” (potrebbe essere avvicinata solo a “Pulp Fiction” per lo sviluppo antiorario delle storie) e sembra piuttosto una sofisticata ricerca dell'immagine che ha in Carlos Sorin il suo illustre precedessore: vicino allo stile di questi, dunque, ma diversamente dal maestro argentino troppo artefatto per sembrare vero, Kleber Mendoca Filho, sfrutta parimenti allo stesso modo i media, siano essi televisione, cellulare o radio per riflettere su di un paese tremendamente immobile
E resta troppo immobile anche il film, almeno nei primi 60 faticosi minuti, che non decollano anche perché il lungo lavoro di post-produzione, durato due anni, ha asciugato eccessivamente le sequenze (sarebbe stato interessante, ad esempio, sapere perché finisce veramente la relazione tra Sofia e Joao o se il confronto tra le due sorelle si evolva in altro modo), rallentando la comprensione degli avvenimenti insieme alla scrittura piana che pure c'è, eccome. Le notevoli ed improvvise scene oniriche e la struggente visita al cinema all'interno dell'Agreste Pernambucano, a ridosso di Recife, sepolto dalla vegetazione e di cui restano solo le mura, insieme alla fotografia dell'antica villa difesa da dodici cariatidi in pietra riscattano, almeno in parte, molte ingenuità stilistiche (un intero cambio d'abito fine solo a mostrare le nudità dell'avvenente cameriera del vecchio signore).
Non giova al film l'eccessiva assenza di sonoro: a partire dallo stesso titolo, l'aver insistito sul togliere in maniera così netta il commento musicale (che pur s'insinua, sottilissimo, nelle occasioni di festa, di provenienza radiofonica o da un coro di bambini di una scuola nel bel mezzo di una foresta) priva la pellicola della sua naturale forza, finendola per renderla inerte in più parti, sospese senza ragione.
Pellicola praticamente invisibile, ma acclamato da critici statunitensi quale miglior film brasiliano degli ultimi anni, incluso dal New York Times nella lista dei migliori 10 del 2013, quando fu candidato all'Oscar per l'opera straniera, “O Som ao Redor” mischia continuamente le carte, ma rimane misterioso, soprattutto nel confronto finale tra Francisco e Clodoaldo.
Inespresso o straordinariamente inesprimibile ? Nel dubbio, restiamo nel guado.
Da vedere, comunque: ma richiede spettatori attivi e consapevoli.
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