Regia di Cecil B. DeMille vedi scheda film
Nella sterminata filmografia di Cecil B. DeMille, I prevaricatori riveste un ruolo di primo piano. Fu una delle prime pellicole del regista ad avere successo planetario, fatto che lo costrinse a girare una versione per ragioni diplomatiche nel 1918 (il malvagio protagonista giapponese Hisuru Tori, divenne il re birmano dell'avorio Haka Arakau).
Dopo un'iniziale e rapida presentazione, che serve per lo più a darci un accenno sui personaggi, emergono sullo schermo le capacità stilistiche di DeMille, che grazie a un uso sapiente ed efficace del montaggio aumenta la fluidità delle immagini, riducendo al minimo l'utilizzo dissolvenze e tendine. Inoltre, si avvale di luci e ombre per accentuare l'effetto del chiaroscuro, tecnica che sarà usata nel migliore dei modi dall'espressionismo tedesco da lì a pochi anni.
Il successo del film tuttavia, non fu dovuto solo alle tecniche innovative e affascinanti adottate da DeMille. La storia, se osservata dalla giusta prospettiva, sembra attuale anche 105 anni dopo la sua uscita, in un'epoca (la nostra) in cui si vive per lavorare e non viceversa. Così anche l'agente di borsa Richard Hardy, sposato con la bella Edith, si ritrova a fare gli straordinari per diventare ricco, trascurando la moglie e i suoi capricci, lasciandola nelle mani del birmano Arakau, che non nasconde i tentativi di conquistare (in qualsiasi modo possibile...) la giovane donna. Quest'ultima, sentendosi oltremodo trascurata e poco viziata dal marito, accetta le avances di Arakau.
Il triangolo amoroso appena descritto dà una visione sprezzante e allo stesso tempo ironica dell'amore, ridotto a pura merce, legato ai dirompenti e imprevedibili sali e scendi economici. E se nella prima fase si sale, nella seconda si torna a scendere. I ruoli cambiano e tutto appare dettato dalle possibilità economiche. Una visione che ovviamente non trova riscontro nel finale, dove si assiste al riscatto amoroso della coppia. Proprio per questo motivo, la conclusione appare eccessivamente tirata, con lo stesso DeMille che sembra esagerare con la Hybris, lasciando anche campo libero alla recitazione fin troppo melodrammatica della (comunque brava) Fannie Ward.
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