Regia di John Lee Hancock vedi scheda film
La genesi del film Mary Poppins è un racconto di ossessione e fantasmi, ostinazione e sogni. Il pervicace Walt Disney e l’ostica Pamela L. Travers - autrice dei romanzi - rincorrono se stessi e si rincorrono a vicenda. L’uno per acquisire i diritti sulla pagina scritta, l’altra per tenere chiusa quella scatola di fogli e parole, nella quale sono custoditi desideri infranti. Hancock ricostruisce la storia sulle linee biografiche parallele di Walt e Pam, ma soprattutto su quelle interne alla scrittrice. Da una parte il passato di sconfitte, con un padre cantore di sogni affogati nell’alcol in una messa in scena soleggiata e afosa, accompagnata da carillon e archi fiabeschi come contrappunti al desiderio di evasione della piccola Pam in un altrove interiore. Dall’altra il presente, in cui la Travers è donna cinica e anaffettiva, incapace di raggiungere quell’altrove. Ma la lavorazione di Mary Poppins libera sovrapposizioni progressive tra i due tempi narrativi, intersecando i piani in modo sempre più insistito: il passato entra nel presente con (eccessiva) invadenza, mentre l’animazione irrompe in Mary Poppins e le celebri parole di fantasia si impossessano del linguaggio tradizionale. Hancock fa danzare il biopic con le fiabe, il backstage del mito con i suoi risvolti sentimentali, restituendo prismaticamente l’immaginario disneyano. Saving Mr. Banks redime i padri con la forza dei sogni, in una catarsi da consumare inevitabilmente in una sala buia, mentre le immagini di Mary Poppins dimostrano quanto la fantasia possa cambiare la (percezione di) realtà.
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