Regia di Peter Marcias vedi scheda film
Onore a Peter Marcias che nella sua Sardegna realizza un film difficile sul tema dell'integrazione del popolo rom, condividendone il punto di vista. Lo spunto narrativo è il (presunto) rapimento di una ragazza che con la sua anima gemella è andata chissà dove perché i genitori di lui non avevano abbastanza denaro per riscattare la futura nuora. In altri tempi e in altri luoghi l'avrebbero chiamata fuitina. Il magistrato che affida il caso a un bonario commissario di polizia (Catalupo) lo chiama invece rapimento e così per il graduato ha inizio un contatto ravvicinato con le persone che vivono nel campo nomadi e in particolare con la sorella del presunto rapitore (Bitri), una donna che si è integrata nel mondo cosiddetto civile e che spende buona parte della propria esistenza in Francia.
Marcias convoglia tutto il suo sforzo sul piano della rapprsentazione dei valori - quelli di giustizia e fratellanza tra i popoli e di avversione al pregiudizio - ma dimentica il film. La narrazione si incaglia in una serie di vuoti che ossimoricamente sembrano dover riempire le transizioni della sceneggiatura dalla fiction a un documentarismo che è di gran lunga la parte migliore di un film. Didascalica e prevedibile, l'opera terza di Marcias trasforma il protagonista - vedovo e con un figlio che fa la drag queen in un locale notturno, altra scelta inspiegabile - in una sorta di don Milani del pallone, disposto a dare un destino migliore agli adolescenti del campo nomadi.
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