Regia di Joseph Gordon-Levitt vedi scheda film
Edonista per vocazione. Cattolico per noia. Familista per tradizione. Patito di motori, discoteche e palestre. Jon è il tipico esemplare di capitalista destrorso tutto insulti al semaforo, scopate da una botta e via e voti affibbiati alle ragazze assieme agli amici con cui gioca a chi ce l’ha più duro. Ma Jon è anche un segaiolo irredimibile, uno che nel confessionale elenca i rapporti ma soprattutto l’ossessivo autoerotismo. Al suo primo lungo, Gordon-Levitt azzarda a costruire un substrato teorico che utilizzi i codici della commedia per mettere in relazione carne e schermo. Ma la carenza d’immaginario è spaventosa, limitata ai fazzoletti di Jon buttati in un cestino che risuona come quello del Mac e a un montaggio che gioca con puerili accostamenti carne/pixel. Il regista/attore/sceneggiatore, poi, si trastulla un po’ troppo come il suo Jon, cercando una narrazione che faccia da contorno al curioso spunto iniziale, ma finendo nel calderone dei bigini sentimentali che tanto deride e vorrebbe evitare (spassosa la finta pellicola parodica con i patinati Tatum e Hathaway: peccato che il secondo tempo di Don Jon ne costituisca la versione estesa). Alle intenzioni non segue il film mentre, nella diegesi, alle parole non fanno eco le immagini: così, dopo dieci minuti con nelle orecchie solo «fica, seghe, sborra e pompini», la macchina da presa si limita a inquadrare soltanto lembi di pelle politicamente corretti e la trama passa dall’analisi di una patologia a stracotte fiacchezze morali sul «perdersi nell’altro». Insomma, niente di nuovo dal Sundance.
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