Regia di Joseph Gordon-Levitt vedi scheda film
Per nulla reticente Don Jon fa sfoggio di se al primo battito di ciglia, con il susseguirsi spasmodico di immagini ed informazioni che annegano in un flusso indistinto di corpi femminili e desideri libidinosi. A metterle insieme una macchina da presa che Joseph Gordon-Levitt trasforma in un telecomando pronto a scattare su un mondo costruito sullo sguardo di Jon Martello, Don Jon per gli amici, metrosexual del New Yersey ossessionato dai film porno, consumati in maniera spasmodica e parallelamente ad un intensa attività sessuale. La vista quindi, declinata nelle sue molteplici funzioni ma sempre finalizzata ad acchiappare la bella di turno. E poi il corpo, plasmato e levigato fino a fargli perdere la sue connotazione materica, oggetto senz'anima riportato in vita dalle proiezioni mentali dell'aitante protagonista. Gia' così c'è ne sarebbe abbastanza per incanalare "Don Jon" sui binari di certi manifesti esistenziali che utilizzano il sesso come metro di misura di ogni alienazione; senza dimenticare i riferimenti all'essenza stessa del cinema, sottintesa nell'azione creatrice dello sguardo di cui Jon si serve per alimentare e dare seguito alle sue sfrenate fantasie. Variazioni sul tema che la scorsa stagione avevano beneficiato del talento artistico di Steve McQueen autore dello scandaloso "Shame", e che adesso Don Jon trasforma nella ribalta di uno zibaldone popolare ed allo stesso tempo metacinematografico, in cui con un tono a metà strada tra la farsa e la commedia si gioca alla rappresentazione del mondo. A farne parte è certamente Jon Martello, immerso anima e carne in un'esistenza in cui ogni problema viene azzerato dal soddisfacimento del piacere sessuale, inseguito e conquistato all'insegna del motto "il porno e' meglio di una fica vera". Un credo a cui il protagonista si affida ciecamente, e che funzionerebbe alla perfezione se non ci fosse di mezzo una nemesi bionda che risponde al nome, e soprattutto alle fattezze, di Scarlett Johansson, interprete di Barbara Sugarman, bionda egocentrica e sexy che lo convince ad astenersi dal benessere di quei filmati. Un inversione di tendenza che si rivela letale non solo per la storia del personaggio, da quel momento in ostaggio degli umori della tirannica compagna, ma ancor di più per le sorti dello spettacolo, costretto in qualche modo a rimangiarsi la premesse brillanti e provocatorie con un colpo di coda che riporta il film all'interno di un conformismo da cui il regista era statoi inizialmente immune.
Nonostante questo per tutta la prima parte Don Jon e' un esordio al di sopra della media per la capacità di districarsi tra differenti forme di linguaggio: da quello televisivo stile sitcom, costituito dalle scene di ambientazione casalinga che ci fanno conoscere la strampalata famiglia Martello, alla ripetitività gestuale tipica dei porno movie interiorizzata attraverso sequenze pressoché identiche (quelle di raccordo legate alle routine estenziale del protagonista così come i rendez vous in discoteca in cerca di conquiste) riproposte con cadenza ravvicinata allo scopo di rendere la dimensione ossessiva e gli schematica del protagonista, senza dimenticare la frammentazione visiva imposta dallo slalom sensoriale di Jon attraverso i tesori del video sharing restituita da immagini a tutto schermo mutuate dalla rete, e tornando al cinema, gli spezzoni di un finto lungometraggio realizzato con la complicità di Anne Hathaway e Channing Tatum, omaggio alla Hollywood più classica che Levitt in qualche modo riabilità nella convenzionalità dei contenuti e nella maggiore compostezza formale che appartengono alla seconda sezione del film. A non passare inosservata è anche la direzione degli attori, azzeccata nella caratterizzazione del protagonista, esuberante ma non istrionica, e poi nella scelta (azzeccata) di utilizzare il fascino elitario della Johansson in chiave proletaria e cafona. Per il resto ci sarà tempo e possibilità.
(icinemaniaci.blogspot.com)
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