Regia di Joseph Gordon-Levitt vedi scheda film
Film furbetto, Don Jon. Per dire.
Laccato Sundance, scodella agile termini scurrili e fugaci inquadrature di donne formose in atteggiamenti inequivocabili cercando di stupire con gli effetti speciali del Verbo del Porno.
Ma il porno è verboso, il porno è una scusa. Il porno è prono ai precetti da piccolo principe dell’indie cool Joseph Gordon-Levitt, che scrive, dirige e interpreta.
Pretende troppe cose, proprio come Barbara con Jon. Don per vocazione (d’accalappiapupe), di(avol)o del martello, dedito al culto dell’orgasmo in solitaria davanti al portatile, il tamarro del New Jersey - canottiera e gel d’ordinanza, bolide con cui sfrecciare veloce e da cui lanciare improperi al prossimo, l’attaccamento alla famiglia e alla chiesa a marchiarne le italiche origini - è, dopotutto, un bravo ragazzo. Pulisce per bene la tana, si tiene in forma, si confessa regolarmente; poi, beh, dà la caccia alla donzella di turno come riempitivo del quotidiano trastullarsi con i rapporti da sogno che offrono i porno. Al contrario del normale “faticoso” sesso con una donna reale.
Risulta assai simpatico, il cafoncello. Si soprassiede così sulla (paradossale) assenza di contenuti ed esibizioni “forti”, spinte (insomma, l’edulcorazione regna sovrana), sulla sostanziale inconsistenza quindi della pellicola: come dire, nulla di che ma carino. Perché vedi Gordon-Levitt che si struscia felice su quel gran bel pezzo di carne pregiatissima di Scarlett (basta il nome, ormai; e sì, è una da dieci) e - a parte un’invidia che scorre feroce nelle arterie, ostruendole - pensi quasi che si diverta a farlo apposta, e che magari del film, in fondo, chi se ne frega, se hai Lei (Her).
Invece, mpf (come si “direbbe” in un fumetto), il solito ergersi a narratori/rivelatori dell’impossibile indecifrabile mondo dei sentimenti, sposta le coordinate dall’apparenza e dall’attitudine cazzara alla parvenza autoriale, rivelando il mero disegno “figheggiante”. Il percorso è sempre lo stesso, quello della scoperta di sé e del crescere come persona; e il parlare di relazioni, descrivendone approcci, ostacoli, difficoltà, proiezioni, fine e nuovi inizi.
E persino (inaccettabili) cambiamenti: Jon matura, non mette più il gel, continua a frequentare la scuola serale, s’innamora anche se è una cosa un po’ particolare (se no si esagera, eh!), non si abbandona più alla sregolata gioia onanistica dei video porno, e guarda negli occhi l’amata perdendosi in lei e viceversa (mentre prima lui lo faceva a senso unico). Mah.
Sfugge così il senso di un’opera come questa; che ben presto s'ammoscia, gira a vuoto, tende a ripetersi fallendo nel tentativo di creare tormentoni e formule rituali (anche estetiche-sonore) per strizzare l’occhietto al pubblico, subisce l’effetto boomerang allorquando ironizza sulle commedie romantiche, si masturba con i dettami della normativa (più o meno) indie codificata Sundance, presenta personaggi(ni) che progressivamente si appiattiscono e spariscono confondendosi con le innumerevoli figure di opere similari (spicca giusto la sorella “muta” con la testa chinata sempre sullo smartphone).
Che noia.
Per dire.
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